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 2021  maggio 29 Sabato calendario

Gli atleti etiopi del limbo del Bronx

WASHINGTON Correre per vivere. O sopravvivere per correre ancora e un giorno, forse, tornare a casa. I maratoneti etiopi si mescolano ai runner newyorkesi nei sentieri di Central Park. Si muovono leggeri, essenziali. Senza sforzo apparente. Sono venuti a cercare fortuna negli Stati Uniti, portandosi solo le scarpette e una tuta da ginnastica. Gli attrezzi da lavoro, lo stretto necessario per partecipare alle gare di mezza America. Purché ci siano dei premi da incassare: non necessariamente i 100 mila dollari assegnati al vincitore della Maratona di New York; bastano i 200, i 500 dollari per un piazzamento nelle competizioni minori, in Virginia o in Pennsylvania. 
In questo modo Tadesse Yae Dabi, 31 anni, mette insieme tra i 20 mila e i 30 mila dollari in una stagione. È arrivato nel 2016; si è sistemato in un appartamentino del Bronx, condiviso con tre colleghi e raccoglie soldi da mandare a sua moglie e al bambino. Tadesse è nato sugli altipiani dell’Oromia, la regione centrale dell’Etiopia, vivaio naturale dei più forti podisti del mondo, a cominciare dal leggendario Abebe Bikila, il vincitore scalzo delle Olimpiadi di Roma nel 1960. 
Ma ora i tempi sono diventati durissimi anche per i «pendolari della corsa». Da oltre un anno la pandemia ha costretto gli organizzatori a cancellare le competizioni. E dall’Etiopia giungono notizie angoscianti. Dal novembre 2020 il governo ha scatenato una guerra civile, con repressioni brutali nel Tigray e arresti, torture anche in altre regioni del Paese. 
I familiari hanno avvertito Tadesse, che aveva già avuto problemi con il regime: non tornare, qui ammazzano la gente per la strada; basta un niente per finire in galera. 
Così, racconta il magazine Gq, nel gruppo di Tadesse sono arrivati anche atleti perseguitati, con ancora le cicatrici dei «trattamenti» subiti dalla polizia etiope. Oggi sono circa una ventina e fanno parte del West Side Runners (Wsx), un club amatoriale, senza strutture sportive o sponsor, fondato nel 1978 da Bill Staab, 81 anni. Un personaggio, questo Staab. Negli anni Settanta viaggiò in Liberia con il Peace Corps, l’organizzazione di volontari istituita nel 1961 da John Kennedy. Da quarant’anni è un punto di riferimento per giovani sportivi, immigrati e squattrinati. Mette a disposizione la sua casa nel West Side di Manhattan; li aspetta al traguardo con il borsone e gli asciugamani; scrive per loro lettere alle ambasciate americane per ottenere permessi e visti. Senza mai chiedere nulla. Da mesi Staab segue soprattutto gli etiopi. L’élite del West Side Runners. C’è Urgesa Kedir, 25 anni, che nel 2016 fu imprigionato e seviziato con un cavo elettrico. Oppure Tariku, che nel 2011 perse la maratona di Philadelphia perché gli si ruppero le stringhe delle scarpe a pochi chilometri dall’arrivo. Tariku si allenava con le star dell’atletica etiope, come Haile Gebrselassie, due volte oro olimpico sui 10 mila metri. Adesso, tra una gara e l’altra, arrotonda facendo le consegne con Uber Eats e DoorDash. O ancora Firiku e Diriba, un tempo titolari fissi nella nazionale etiope. Sono quasi tutti nella lista nera dell’esecutivo di Addis Abeba. Molti hanno fatto domanda di asilo politico. Intanto lavorano, chi come fabbro, chi facendo le pulizie. E ovviamente continuano a correre.
Insieme scivolano tra gli alberi di Central Park, scambiandosi qualche parola nella lingua dell’Oromia.