Robinson, 29 maggio 2021
Pinault va in Borsa
Il suo primo acquisto nel 1972 era un quadro post- impressionista che rappresentava un’anziana nel cortile di una cascina bretone. «Mi sembrava di rivedere mia nonna nella sua fattoria» spiega François Pinault che si è poi allontanato per stile e gusto da quel dipinto firmato dal conterraneo Paul Sérusier, esponente della scuola di Pont- Aven frequentata anche da Paul Gauguin. Anche se a ottantaquattro anni si sente ancora un plouc breton, uno zotico bretone, memore dei suoi avi, il fondatore del gruppo di lusso Kering ha accumulato una delle più grandi collezioni d’arte contemporanea al mondo che ora ha trovato una nuova casa. Dopo aver espatriato a Venezia, creando un polo espositivo che va da Palazzo Grassi alla Punta della Dogana, Pinault torna a Parigi.
L’inaugurazione della Bourse de Commerce è l’evento della rentrée culturale, nei giorni in cui la capitale francese si risveglia dopo sei mesi di letargo forzato. A metà strada tra il Louvre e il Centre Pompidou, l’antica Borsa del grano, laddove i mercanti scambiavano materie prime nel pieno della rivoluzione industriale, è stata riadattata in museo privato da Tadao Ando. L’architetto giapponese si è commosso nello scoprire l’edificio parigino che assomiglia molto a uno dei monumenti che più ammira: il Pantheon di Roma. Per questa sua nuova creazione ha deciso di inserire un cilindro di cemento al centro dell’antico edificio sovrastato dalla cupola di vetro e acciaio che illumina a giorno gli interni, lasciando gallerie espositive negli spazi laterali dove sono esposte duecento opere di trentadue artisti. Il primo allestimento è transitorio, l’intenzione è infatti organizzare una rotazione che permetta di esporre parte dell’immensa collezione Pinault, oltre 10 mila opere. Anche per questo, spiega il direttore del nuovo museo, Martin Bethenod, è da escludere una concorrenza con Venezia. «Non si tratta di mettere fine ad altre esperienze» dice Bethenod, che si era già occupato di Palazzo Grassi e Punta della Dogana. Lo sbarco a Venezia nel 2006 era stato deciso dopo che Pinault non era riuscito a lanciare il suo museo sull’île Seguin, nordovest di Parigi, bloccato da complicazioni urbanistiche e burocratiche. Nel frattempo l’altro grande magnate del lusso, Bernard Arnault, è invece riuscito ad aprire la Fondazione Vuitton al Bois de Boulogne. Con la Bourse de Commerce quello strappo si ricuce. Pinault ha curato in modo maniacale ogni dettaglio del progetto cominciato nel 2017. È lui che ha deciso gli artisti da esporre, scegliendo di non mostrare i nomi più inflazionati della sua scuderia, come Damien Hirst e Jeff Koons, ma altri meno famosi o mai esposti in Europa come l’afroamericano David Hammons. «È uno degli artisti che più mi ha emozionato» ha confidato Pinault che l’ha incontrato quarant’anni fa in una piccola galleria newyorchese e da allora non l’ha più abbandonato.
L’Italia non è lontana. Nella “Rotonda” centrale si staglia infatti Untitled, opera multiforme dell’artista svizzero Urs Fischer: una copia del Ratto delle Sabine, opera monumentale del Giambologna a Firenze, in Piazza della Signoria. Un omaggio indiretto a Caterina de Medici che secoli fa abitò a questo indirizzo. Davanti alla riproduzione di Giambologna c’è la statua di un pittore italiano, Rudolf Stingel, presente con le sue opere nella galleria al primo piano. Intorno, diverse forme di sedie, una banalissima da giardino, una poltrona da ufficio, sedili di aereo. Tutta l’installazione di Fischer è stata realizzata in cera. Come candele, a simboleggiare il tempo che passa e la vanità. Le opere cominceranno a sciogliersi dall’ingresso dei primi visitatori e si consumeranno piano piano nei prossimi mesi, fino a scomparire. Altre sedie coperte di libri e oggetti sono disseminate nel percorso,Guardians, sentinelle create da Tatiana Trouvé, mentre alzando gli occhi al cielo si avvistano una squadriglia di piccioni minacciosi, Others, di Maurizio Cattelan.
Il restauro ha mantenuto gli arredi originali, comprese le allegorie ottocentesche sul capitalismo nascente e una storia colonialista oggi più che mai sotto accusa. Le opere impongono una narrazione a contrasto, con l’invito ad artisti impegnati come Martha Wilson, Sherrie Levine, Michel Journiac. Non a caso il titolo dell’allestimento è Ouverture, quasi un manifesto secondo Pinault che parla di «sete di libertà, rivolta contro l’ingiustizia, accettazione dell’altro».