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 2021  maggio 29 Sabato calendario

Ma voi ricordate ancora come si fa?

Woody Allen ha detto, in un’intervista in occasione del suo ultimo film, che a uno che scrive la pandemia non ha cambiato lo stile di vita: sta tutto il giorno a casa da solo, e gli manca solo una cena con gli amici. È vero, o almeno era vero fino a quando non sono nati i festival: si vede che Woody Allen non frequenta Mantova, Pordenone, Torino, Ivrea, Polignano, Trento, Sarzana, Pistoia, Ferrara, Viterbo, Modena e molti altri luoghi dove si svolgono da anni festival e affini. Da allora gli scrittori, i filosofi, gli studiosi, gli economisti e chiunque fosse chiuso in un posto a lavorare, ha aggiunto al suo sistema di vita e alle sporadiche presentazioni dei libri appena usciti, i viaggi, i buoni pasto, i badge, le borse di tela, gli incontri, i dibattiti, i reading, le lezioni di storia, e qualsiasi altra cosa fosse capace di fare. E anche i lettori hanno cambiato vita: non solo leggere i libri dei loro autori preferiti, ma anche andare ad ascoltarli in vari teatri, luoghi all’aperto, passando da un posto a un altro. Ampliando contatti e modi, e ampliando sensibilmente un’economia risicata. E poi la pandemia ha riportato tutti dentro. Alcuni si sono avviliti, almeno all’inizio, e non riuscivano a fare più niente. Altri si sono rimessi a vivere come vivevano prima, a lavorare e basta, senza confronti esterni, tranne qualche interruzione da remoto, comoda perché si restava a casa, ma un po’ sfinente e complicata. Alle volte, si sono fatte presentazioni o lezioni aperte, parlando a una serie di schermi neri e senza audio (per non disturbare la connessione) e creando un’insensatezza che molti sono bravi a ignorare e altri no: parlare da soli, nella propria stanza, con voce impostata e sbracciandosi, davvero da soli, con la speranza che qualcuno stia ascoltando, con il timore che non stia succedendo, almeno da un certo punto in poi. E con inconvenienti a volte così eclatanti che finiscono sui siti come curiosi o scandalosi. O anche rimasti invisibili.
Una volta, per esempio, mentre partecipavo a un dibattito da remoto, uno scrittore che stava parlando ha guardato preoccupato alla sua destra, si è distratto, ha cercato di riprendere, ma dopo qualche secondo è apparsa sua moglie che lo ha impallato con un braccio e una spalla perché cercava il portafoglio per uscire e lo ha trovato proprio lì. Lui ha detto, stupito: ma che c...o fai? E lei: mi serve il portafoglio. L’aggravante era che la moglie, prima di uscire, aveva fatto connettere il marito poco adatto alle connessioni. Ma poi senza il portafoglio, come faceva, dove andava? Per fortuna era una registrazione, e abbiamo ricominciato tutto da capo.
Ora, se va tutto bene, tornano i festival. A lungo rimandati, con una finestra l’estate scorsa che ha ridato speranza – ma che aveva regole complicate e snervanti. A settembre scorso sono stato al festival di Pordenone, dove vado spesso. Ho fatto una presentazione il pomeriggio e un reading la sera. C’erano distanziamento, ferrei sorveglianti dell’ordine, una certa tensione tra gli spettatori sospettosi degli altri spettatori. Noi relatori firmavamo copie prima, da soli, e poi un lettore che avrebbe voluto, sarebbe potuto andare a comprarne una, dopo, quando noi non c’eravamo più. Ho firmato di nascosto, dietro un albero del parco dove ho fatto il reading, e nella notte, due libri a due signore. Avevamo tutti e tre voglia di trasgredire le regole. Ho cenato da solo, ho passeggiato lungo il corso da solo e ho guardato nei bar se c’erano gli altri, come succedeva sempre, ogni anno. E non c’era nessuno. E dopo il reading e la trasgressione dietro l’albero, sono andato a dormire.
Era commovente lo sforzo e la capacità di riuscire a fare il festival nonostante tutto, e anche con il sentore che stava succedendo di nuovo qualcosa, ed ero consapevole di aver partecipato a questo sforzo. Ma al ritorno, in treno, ero intristito, preoccupato; avevo la sensazione che cominciassimo a fare le cose per un dovere morale e non più per curiosità e divertimento – e non sono tra quelli bravi a sentire il dovere morale. E poi si è fermato tutto di nuovo. Adesso si ricomincia, ma bisogna ritrovare quella naturalezza che adesso è sparita, e la vecchia solitudine è diventata la nuova normalità. Adesso, si ricomincia, timorosi e vogliosi. Ognuno di noi ha perso la memoria chiara della vita di prima, ha in testa un confuso passato in cui si facevano molte cose, e c’erano i festival, e si veniva, invitati, si diceva sì, e si partiva.
Bisognerà pian piano ricostruire e ritrovare la norma-lità, e di conseguenza sperare che tornino le varie tipologie di ospiti dei festival. A cominciare da quelli che ci sono sempre, immancabili, anche al festival della filologia romanza e del diritto amministrativo; sono già lì quando arrivi e credo vadano via soltanto quando poi sono sparite sedie e palchi da tutte le piazze; sanno dove andare a mangiare, se stai dormendo nel posto giusto, hanno già fatto molti incontri anche se è ancora il primo giorno ( hanno inaugurato) e ti spiegano come funziona tutto. Poi ci sono quelli che appena arrivano dicono che i festival sono un peso troppo grande per la loro vita, che sono nauseati dal mondo, che sono stanchi del nostro ambiente ( lo chiamano ambiente); parlano male di tutti, dicono che non vedono l’ora di tornare a casa, trovano insensati e scandalosi i festival, uno scrittore dovrebbe stare a casa a scrivere; non bisogna chieder loro perché sono venuti, allora. Ci sono quelli che vanno a un festival e si lamentano per tutto il tempo di non essere stati invitati anche a quell’altro festival. Quelli molto bravi a presentare gli altri, che di solito vivono in un appartamento bellissimo in centro, da cui gli organizzatori hanno sfrattato gli occupanti legittimi. Ci sono quelli che non sono potuti venire, e che non sopportano che gli altri stiano lì, e quindi telefonano continuamente per chiedere: che state facendo? Ma basta farli parlare con quello stanco e annoiato dai festival, e si sentono subito sollevati. Quelli che costringono tutta la casa editrice a seguirli a pranzo a cena in albergo per un caffè, e non vogliono per nessun motivo che qualcuno si allontani, perché sospettano che vadano ad assistere all’incontro di un altro autore della casa editrice.
Di conseguenza, ci sono quelli che dicono: la mia casa editrice mi ignora – e quelli della casa editrice cercano per quanto possibile di mandar loro un messaggino affettuoso nascosti dietro una colonna, oppure di salutarli da lontano furtivamente con la manina. Quelli che fanno degli interventi brillantissimi, che quando li ascolti dici: però quanto è bravo, e che alla fine del festival si smaterializzano, scompaiono; adesso, dopo la pandemia, non si sa se riusciranno a ricomporre la materia per tornare vivi.
Ci sono festival in cui si capisce l’importanza che hai dalla lontananza del tuo albergo dal centro della città; in cui vedi un grande filosofo camminare da solo perché non conosce nessuno, e gli altri che stanno al bar bevendo e ridendo, hanno la tentazione di chiamarlo per farlo unire a loro, ma poi non lo chiamano, per ferocia. Ci sono quelli che mentre stanno al bar, invece di ubriacarsi, elencano tirature, quantità di edizioni e di traduzioni all’estero – e di solito scelgono di tormentare qualcuno che non hanno mai visto in classifica, per poi dirgli: e tu? Perché non chiedi alla tua casa editrice se ti manda in tv da Fazio o a Propaganda? Ci sono quelli che hanno scritto un libro brutto, e lo sanno, perché gli altri gli rivolgono la parola ma frettolosamente e con imbarazzo, e invece l’anno prima erano così affettuosi… Ci sono quelli che vanno ad assistere agli incontri degli altri così da costringere gli altri ad andare ad assistere ai loro. Quello così brillante e intelligente che mentre il pubblico e l’interlocutore stanno dipanando i collegamenti brillanti e intelligenti che ha fatto, sta già partecipando a un altro incontro. Quello che non aveva capito che era il festival dell’economia, ma credeva fosse quello della filosofia; e gli altri dicono: non ti preoccupare, è uguale. La sedia vuota sul palco perché il grande autore ha perso la coincidenza (solo i grandi autori perdono le coincidenze). I tanti che accorrono a un evento perché si dice che quei due litigheranno, come quando si guarda soltanto la partenza del gran premio automobilistico con la speranza che ci sia un maxi tamponamento.
Tutto questo è mancato, produce nostalgia. Ci rammentano che c’erano festival dove tutti gli incontri erano esauriti da un pezzo, dove si facevano ore di fila per procurarsi un biglietto, o dove per strada non si riusciva a camminare per il fiume di gente che passa da una piazza all’altra. Ma ne abbiamo un ricordo vago, e alle volte pensiamo che ce lo siamo inventati. Ma non ce lo siamo inventati, ci sono i documenti a testimoniarlo. E il fatto che potrebbe succedere ancora.