Il Sole 24 Ore, 29 maggio 2021
L’olio di qualità italiano non basta
Un cucchiaio di extravergine made in Italy per ogni italiano. All’anno, non al giorno. A tanto ammonta (circa 30 grammi) la disponibilità pro capite di olio extravergine d’oliva italiano suddiviso per la popolazione italiana. Al 30 aprile scorso, secondo i numeri di Frantoio Italia, la banca dati sull’olio d’oliva gestita dall’Ispettorato per il controllo della Qualità del Mipaaf, in giacenza in Italia c’erano in tutto 346mila tonnellate di cui 122mila di extravergine 100% italiano. Un volume lontano anni luce dai consumi italiani (circa 600mila tonnellate l’anno, 11,9 chilogrammi pro capite), e ancora di più dal reale fabbisogno nazionale (oltre un milione di tonnellate) che comprende anche le circa 400mila l’anno che vengono esportate.
Il calcolo è stato effettuato da Assitol, l’associazione delle industrie olearie italiane per smentire le tante fake news e le inchieste improvvisate che da decenni si occupano del settore quasi sempre mettendo all’indice origine e qualità dell’olio.
Il punto chiave è uno: olio extravergine d’oliva italiano non ce n’è. La produzione del Belpaese di olio d’oliva “di pressione” – come si dice in gergo – negli ultimi anni si è assestata secondo Ismea attorno alle 250mila tonnellate. Per trovare una produzione in grado di soddisfare almeno i consumi interni (e comunque non l’export) bisogna risalire alla fine degli anni ’90 quando si dichiaravano oltre 700mila tonnellate di prodotto. Numeri sui quali, già allora, non erano pochi a nutrire dubbi.
Di fatto, mentre negli anni si discuteva in maniera accesa sulla reale entità dei raccolti, la produzione italiana scendeva sempre più giù. E se in passato era necessario acquistare olio all’estero (Spagna in primo luogo ma anche Grecia e Tunisia) solo per riesportarlo in blend con extravergine italiano, adesso, non si intravede come se ne possa fare a meno anche per i consumi interni. Di certo a puntare solo sull’olio italiano sarebbe sfumato anche l’incremento del 9% dei consumi di extravergine registrato nell’anno della pandemia.
Ma nonostante questi numeri ormai conclamati, chissà perché si continua a puntare il dito contro industria e commercio, accusati quasi di tenere nascosto l’extravergine italiano per mettere in bella mostra sugli scaffali confezioni che all’interno delle bottiglie etichettate con brand italiani, contengono quasi esclusivamente olio di provenienza estera. Chissà perché si continua ad alimentare la fake news che il problema del settore olivicolo made in Italy non sia la produzione ma la trasformazione e il commercio.
«Il deficit produttivo di cui soffre l’olio italiano – ha spiegato la presidente del Gruppo Oliva di Assitol, Anna Cane – è ormai un dato di fatto. Ce lo indicano chiaramente le rilevazioni, per giunta da fonti ufficiali. Salta agli occhi che, purtroppo, di olio extravergine di origine italiana non solo non ce n’è per tutti, ma ce ne è davvero per pochi». Eppure negli ultimi anni, proprio per recuperare il buco produttivo e insieme con gli olivicoltori, è stato messo in piedi un ambizioso Piano olivicolo. Un piano che in realtà non è andato oltre qualche iniziativa di ricostituzione del patrimonio di uliveti distrutti dalla Xylella in Puglia e del quale con la pandemia si sono perse le tracce (si veda altro articolo in pagina).
Ciò che invece non manca mai al settore dell’olio d’oliva sono gli attacchi. L’ultimo appena qualche settimana fa da sedicenti paladini dei consumatori che hanno messo in discussione origine e caratteristiche organolettiche di diverse bottiglie di brand italiani prelevate sugli scaffali della grande distribuzione. L’indagine si concludeva – come avviene spesso – con la raccomandazione ad acquistare solo il pochissimo olio made in Italy. «Il consumatore per mettere in tavola l’extra vergine tutti i giorni – conclude Anna Cane – ci chiede un rapporto qualità-prezzo equilibrato. Come si concilia questa richiesta con l’idea, spesso veicolata in ambito agricolo, che solo l’olio più costoso garantisce davvero il consumatore? L’Italia, non dimentichiamolo, controlla i suoi prodotti alimentari grazie all’impegno di ben otto organismi pubblici. La qualità non è in discussione. Il punto è lavorare in modo più efficiente per contenere i costi e aumentare la competitività sul mercato, oltre che offrire maggiori possibilità di remunerazione ai produttori, in un’ottica di sostenibilità economica». Sullo sfondo resta l’anomalia tutta italiana di difensori dei consumatori che raccomandano i prodotti col prezzo più elevato.