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 2021  maggio 29 Sabato calendario

Carrère si preoccupa «soprattutto di cosa significa essere me»

Emmanuel Carrère, classe 1957, è un classico figlio dell’élite culturale parigina. La madre, storica di fama, occupa un seggio nella prestigiosa Académie française. Dopo una laurea in Scienze politiche, è il cinema la sua passione divorante: scrive recensioni, sceneggiature, libri (il suo debutto sugli scaffali è una biografia del regista tedesco Herzog). Bussa alla porta della narrativa, si guadagna il suo cantuccio con opere come La settimana bianca: una gita scolastica sulla neve e l’orrore di un bambino del luogo rapito e ucciso. La sua fede nell’immaginazione è sublimata con Io sono vivo, voi siete morti: biografia di Philip K. Dick, maestro della fantascienza nel Novecento.
Carrère sembra insomma un romanziere come tanti altri, talentuoso ma tutto sommato innocuo. Poi la svolta che lo rende celebre e celebrato. Decide di continuare a scrivere storie ma di mettersi in mezzo, si introduce nelle sue stesse pagine, vi affonda costringendo il lettore ad aggrapparsi alle sue gambe. Non sale certo in una scena vuota ma la sua performance sul palcoscenico dell’autofiction tocca esiti impensati. Nel 2002 pubblica su Le Monde Facciamo un gioco: una serie di scritti erotici rivolti alla sua compagna di allora, in una girandola di perversioni sempre più estreme, che mise fine alla relazione.
“Quando penso alla letteratura, al genere di letteratura che faccio, di una cosa sola sono fermamente convinto: è il luogo in cui non si mente. È un imperativo assoluto, tutto il resto è secondario, e a questo imperativo penso di essermi sempre attenuto. Le cose che scrivo forse sono narcisistiche e vane, ma non sono false”. Ecco un passaggio tratto dal suo ultimo Yoga, in libreria per Adelphi, nel quale Carrère rivendica il suo statuto di autore. Bandito ogni slancio di immaginazione, la corrispondenza tra la sua propria vita e i suoi scritti è così radicale che ogni giudizio sulla vita è un giudizio sull’opera e viceversa. Sebbene proprio in Yoga – 300 pagine in cui si ha l’impressione che l’autore si rivolga a se stesso come uno che parli alla propria immagine riflessa in uno specchio – si compia una sorta di nemesi. L’ex moglie non solo lo ha accusato di averla utilizzata nel libro senza il suo consenso violando un contratto da loro stipulato ma di avere seminato qua e là diverse contraffazioni.
Il libro si dipana in tre sezioni: uno stage di meditazione yoga Vipassana interrotto dall’attentato a Charlie Hebdo, in cui tra le vittime figura l’amico Bernard Maris; il ricovero in un reparto psichiatrico scandito da ripetuti elettroshock; una parentesi di terapia umanitaria tra giovani rifugiati nell’isola greca di Leros. Ebbene, secondo la denuncia dell’ex moglie ci sono eventi rimontati secondo una cronologia fittizia, una descrizione compiacente sul suo crollo psichico, l’esperienza di volontariato è dilatata a due mesi quando invece si è esaurita nel volgere di pochi giorni.
La credibilità del 63enne autore francese è dunque messa in discussione? La bandierina dell’autenticità piantata su ogni suo volume è dunque solo marketing? Interrogativi che meritano di essere dissipati perché è lo stesso Carrère a gettare il suo Yoga nel fuoco della contesa: “Di questo libro non posso dire quello che con orgoglio ho detto di molti altri: È tutto vero”. Il punto è che il suo narcisismo autobiografico non serve a lustrare una reputazione ma semmai come forma retorica per aggregare pezzi di mondo. Nei suoi volumi c’è una storia, c’è lui che la racconta, c’è quello che gli succede durante il racconto. Per disvelarsi si è spesso cercato un doppio letterario. Dal mitomane finto medico che per nascondere la sua verità ha sterminato moglie, figli e genitori in L’avversario alla figura del nonno materno di origine russa ucciso perché collaborazionista dei tedeschi in Un romanzo russo. Dalla tragedia dello tsunami del 2014 e la lotta contro il cancro della compagna della sorella in Vite che non sono la mia al dissidente politico russo Limonov che è stato poeta, scrittore e senzatetto nell’omonimo Limonov. Chi legge Carrère soccombe alla sua seduzione perché insegue la stessa disperata ricerca: “Io mi occupo soprattutto di cosa significa essere me”.