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 2021  maggio 29 Sabato calendario

Intervista a Paolo Conte

“Guardando fuori un paesaggio avrai/ E laggiù montagne languide vedrai/ E sempre te ne invaghirai/ Grande amore e ancora tu le vorrai”. I paesaggi ancestrali invocati in Nord di Paolo Conte si materializzano nelle immagini del docufilm Via con me, diretto da Giorgio Verdelli, pubblicato in versione homevideo e dedicato alla scomparsa del suo manager Renzo Fantini.
L’artista astigiano ha appena ottenuto un sold out per il primo dei suoi concerti estivi – compatibilmente con la capienza prevista dalle normative vigenti – per la data del Festival Collisioni ad Alba il 16 luglio. Confermato anche l’appuntamento a Grado il 24 luglio, Lugano il 24 agosto e Mantova il 29 agosto, per proseguire nel 2022 a Padova, San Remo e Zurigo. A oggi l’ultima fatica discografica è Amazing Game pubblicata nel 2016 e il Live in Caracalla – 50 Years Of Azzurro del 2018 contenente l’ultimo inedito Lavavetri.
Il film Via Con Me, disponibile in dvd e bluray, è stato precedentemente presentato fuori concorso alla 77esima Mostra di Venezia. Si resta folgorati dalla scena iniziale: il regista inquadra un bellissimo scorcio di campagna introdotto dalle parole dell’ex Avvocato, incastrate perfettamente: “Io mi sono sempre vantato di essere uno scrittore di paesaggi, rifuggo l’autobiografia”. Per approfondire il tema abbiamo scomodato l’autore, piacevolmente immerso nelle sue valli piemontesi.
La sua analisi è tranchant…
Ho sempre provato disagio a parlare in prima persona e ancora di più a dire di me stesso, preferendo lasciare la scena ai miei personaggi. Ma intorno a loro sento la necessità di creare un ambiente, un paesaggio.
Cosa la ispira maggiormente per una nuova canzone?
Le indicazioni che mi suggerisce la musica – che compongo sempre prima di scrivere le parole – sono indicazioni molto fisiche: sapori, odori, colori, spazi…
Dice lei: “Ho cominciato a cantare per difendere le mie canzoni”. A chi sente di dovere qualcosa per la sua scelta di dedicarsi interamente alla musica?
I miei genitori se ne sono andati molto giovani. Nel “salto” da un mestiere all’altro mi è stata vicina Egle, mia moglie, giovane e di spirito libero e complice.
Ha esordito suonando il trombone. A quali strumenti è più appassionato e quali avrebbe desiderato imparare?
Il trombone a coulisse è uno strumento di grande sensualità espressiva, ma lo suonavo malissimo. Meglio me la cavavo con il vibrafono, strumento di ben altra natura.
Qual è il suo rapporto con la musica elettronica e la tecnologia?
Ho assistito alla nascita dei primi strumenti sintetici – dal Moog in poi – creati per ragioni di comodità, anche economica, ma sono contrario al delegare a questi strumenti compiti impegnativi sul terreno della creatività.
Ha elogiato “la qualità di tanti piccoli pubblici, élite”. Come interagisce con i suoi fan?
Non faccio uso di email e altre birbanterie in voga. Il contatto con il pubblico avviene nei concerti o attraverso lettere che mi scrivono e alle quali puntualmente rispondo.
“I genovesi dicono mugugni, sussulti, gamberoni, rossi, piaceri, fantasia”: è l’incipit di Genova per noi, una strana liaison per un piemontese.
È la curiosità per la somiglianza caratteriale tra i liguri e i piemontesi, insieme alla grande differenza tra i rispettivi paesaggi: mare e campagna.
“Paolo è sexy, i francesi amano la sua voce seducente, il suo formidabile charme”. Ha dato sensualità alla musica, dice Jane Birkin.
I graditi complimenti che mi rivolge la Birkin nascondono un po’ la pigrizia dei francesi nell’occuparsi di testi in una lingua forestiera. Se mai conoscessero i miei testi, chissà!
“L’eroe perdente che sarebbe piaciuto a Fellini”: come nasce l’uomo del Mokambo?
Il prototipo è l’uomo del dopoguerra che ricomincia a vivere con una simpatica disinvoltura che travalica nel sogno le sue possibilità economiche.
“Il mio stile era confusione mentale di fine secolo. La pittura è stata un vizio”. Sono frasi che si confondono tra lei e Hugo Pratt
Non ho mai “collaborato” con Hugo Pratt, se non scrivendo le musiche per un’edizione teatrale di Corto Maltese. Ho avuto comunque il privilegio di conoscerlo di persona.
C’est beau è ricca di frasi misteriose, doppi sensi, incipit…
C’est beau è quello che si definisce un “pastiche”: ci sono gli indiani, i fiori, il treno, i legumi, Manitù che tuona tra le nuvole. “Pour en faire un bon bouillon il faut mettre dans ce bouillon les legumes de toutes les saisons”, un bel minestrone.
“Fa niente/ Questo è un gioco che fan gli Dei/ E ridono in fondo”.