Il Messaggero, 29 maggio 2021
Tutte le vita di Casanova
Il 4 giugno del 1798 moriva Giacomo Casanova, sedicente nobile e seducente donnaiolo. A differenza di Don Giovanni che, secondo il catalogo di Leporello, era attratto anche da un palo in vesti femminili (purché porti la gonnella/voi sapete quel che fa) il nostro era relativamente selettivo, quantomeno dal punto di vista estetico. Ma su questa differenza torneremo più avanti. Sta di fatto che, tra giovani e vecchie, collezionò centinaia e forse migliaia di amanti più o meno occasionali. Il mondo avrebbe dovuto aspettare il nostro mitico Rocco Siffredi, peraltro scrupoloso professionista, per vederne l’uguale.
LA MORALITÀ
Era nato a Venezia il 2 aprile 1725, e fu destinato, per ragioni economiche, alla carriera ecclesiastica. La inaugurò conquistando il cuore della tredicenne Bettina, sorella dell’abate Gozzi, suo precettore. A sentir lui, si trattò di una demi-vierge che non gli si concesse integralmente. In ogni caso, secondo la legge attuale, questa avventura lo inserirebbe tra i pedofili passibili di vari anni di galera. Casanova finì in prigione varie volte, ma mai per reati di questo tipo. La moralità sessuale, e le leggi che la disciplinano, sono ipotetiche, transitorie e relative. Per questo sorridiamo con benevola ironia quando sentiamo parlare di valori assoluti sotto le lenzuola.
Il colpo di fortuna gli arrivò, come spesso accade, con la disgrazia altrui. Il senatore Bragadin ebbe uno svenimento; il diciannovenne Casanova, che allora girovagava a Venezia, gli prestò soccorso, salvandolo scrisse – da morte certa. La medicina moderna dubita che una cura così empirica possa aver guarito un infarto o un ictus. Ma le memorie di Casanova sono così infarcite di autoesaltazioni coribantiche da farci dubitare anche delle sue esperienze reali. Le quali furono, anche sfrondando il troppo e il vano, articolate ed estese. Rievocarle qui è impossibile, non tanto per ragioni di decenza quanto di spazio.
Diciamo comunque che, benché saltasse dalle suorine devote alle rustiche paesane, e dalle vergini ingenue alla dame raffinate, non superò mai quei limiti disgustosi che contrassegnarono il marchese De Sade, e più tardi sarebbero apparse nei racconti di Pierre Louys e di George Bataille. E comunque limitare le imprese di Casanova alle sue avventure galanti è riduttivo e quasi banale, quantomeno perché le descrisse in quattro libri di memorie che costituiscono un capolavoro della prosa francese. De Sade infarcì i suoi romanzi di pistolotti pedagogici e di noiose dissertazioni antireligiose; Casanova addolcì il suo erotismo con un’eleganza di stile che, se avesse parlato d’altro, ne avrebbe fatto un secondo Voltaire.
LA CONVERSAZIONE
Purtroppo il nostro eroe non aveva né gli ideali né la disciplinata costanza del genio di Ferney. Condusse una vita disordinata ed errabonda, sperperò i suoi talenti finanziari al gioco e quelli intellettuali nelle attività più singolari. Viaggiò per tutta l’Europa, conobbe sovrani e principi, governanti e speculatori, filosofi e musicisti. Li affascinò quasi tutti era perché imponente di statura, gradevole nei modi, elegante nel vestire e raffinato nella conversazione. La sua frenetica ginnastica amorosa non gli impediva di coltivare mille altri interessi, alcuni elevati, altri stravaganti e bizzarri. Divorava gli autori classici, accumulava libri di ogni tipo, studiava la cabala, praticava l’occultismo, simulava devozione e sussurrava eresie, correggeva la sfortuna barando, e occasionalmente si imbarcava in un duello per ragioni di cuore o di carte truccate.
Per raccattar danaro si trasformò in spia e delatore, ma non si considerò mai un traditore autoconvincendosi, come Mirabeau, di esser pagato per tener fede alle proprie idee, essenzialmente conservatrici e reazionarie. Famoso è il suo dialogo con Voltaire. Il grande patriarca dell’Illuminismo credeva di emancipare l’umanità eliminando la superstizione, cioè i preti. Casanova rispose come Hobbes: «Amate questa umanità per quello che è, ma sappiate che essa non è in grado di accettare i benefici che volete riversarle addosso, e che la renderebbero solo più disgraziata e cattiva». Voltaire inorridì, ma Casanova non aveva del tutto torto. Pochi anni dopo, i massacri di settembre durante la Rivoluzione lo avrebbero purtroppo dimostrato.
Anche a Venezia si fece assumere come spia. Ma i suoi rapporti contenevano pochi fatti e molti commenti; la pragmatica Repubblica lo licenziò, e forse perché aveva mirato troppo in alto nelle sue conquiste amorose, lo rinchiuse ai piombi, da dove evase in modo rocambolesco. Da lì emigrò a Parigi, poi a Londra, a Berlino e a Pietroburgo, talvolta inseguito dalle sedotte abbandonate e più spesso dai creditori inferociti. Anche le polizie lo tenevano d’occhio, più per i suoi intrallazzi politici che per quelli amorosi. Tornò in Italia, fu espulso da Firenze per cattiva condotta, e da Venezia per un libello contro il nobile Carlo Grimani.
LA GIOIA DI VIVERE
Nel 1784, esausto e deluso, approdò al castello del Conte di Waldstein, in Boemia, dove visse gli ultimi tredici anni lavorando come bibliotecario, brontolando sul cattivo trattamento riservatogli dai padroni. Ammazzò il tempo, prima che il tempo ammazzasse lui, scrivendo le sue memorie. Visse abbastanza da vedere la caduta dell’Ancien Régime, e rimpiangerne la joie de vivre, come ogni generazione avrebbe fatto per l’era precedente, e come i reduci della Belle Epoque avrebbero lamentato dopo la prima guerra mondiale. Anche nel divertimento, non c’è nulla di nuovo sotto il sole.
LA PATOLOGIA
Tutto sommato, Casanova rappresenta, in modo estremo, i vizi e le virtù dell’uomo del Rinascimento al suo epilogo. L’amoralità dei costumi, la spregiudicatezza della politica, l’arte di arrangiarsi con la menzogna e la frode, furono difetti mitigati alla poliedricità degli interessi e da un’impressionante energia vitale che nessun pessimismo filosofico poté scalfire. Casanova visse sette vite, e le vendette tutte. Ma lasciò un’eredità che globalmente ci ispira simpatia. Psicologi e psicanalisti si sono scatenati a sezionarne l’anima, e alcuni si sono avventurati nel confrontarlo con Don Giovanni. Ma il protagonista di Molière e di Mozart è un ignobile dissoluto, malato di bulimia erotica che, come nella ninfomania, sottintende (secondo i sessuologi) una sostanziale immaturità e un impulso all’autodistruzione. Casanova è invece un edonista tumultuoso, che vuol godersi la vita senza il rischio di perderla, e che concilia i piaceri dei sensi con quelli dell’intelletto, dell’arte e della conversazione. E tuttavia in entrambi notiamo quell’incontrollabile frenesia che sconfina nella patologia maniacale, e dopo aver letto questa baraonda di tresche rientriamo, immunizzati da ogni tentazione eccentrica, nella più quieta e soddisfacente normalità.