Il Messaggero, 29 maggio 2021
Tiziana Cantone verrà riesumata
Un buco sul braccio refertato subito dopo la sua morte; la strana posizione del cadavere impiccato a una panchetta per attrezzi ginnici («senza tensione», dicono i testimoni), la presenza di tracce di Dna sconosciute sulla pashmina usata a mo’ di cappio.
Sono solo alcuni dei punti oscuri che hanno spinto la Procura di Napoli nord ad imprimere una svolta nel corso dell’inchiesta sulla morte di Tiziana Cantone, la 31enne che aveva denunciato quella gogna mediatica che oggi – dopo la sua drammatica esperienza – chiamiamo revenge porn: ci sarà la riesumazione del suo cadavere, nel tentativo di effettuare un esame autoptico e un esame di un anatomopatologo, per provare a salvare elementi in grado di chiarire tutti quegli aspetti rimasti misteriosi. È stato il pm Giovanni Corona a riaprire il caso Cantone: prima ipotizzando una frode processuale, a proposito della presunta cancellazione da parte di qualcuno (una manina esperta) dei dati riservati da cellulare e iPad di Tiziana; poi arrivando addirittura a ipotizzare l’accusa di omicidio volontario (contro ignoti).
LA COMUNICAZIONE
Due giorni fa, la pec da parte della Procura all’avvocato Salvatore Pettirossi (membro del pool di consulenti Emme Team), che assiste Maria Teresa Giglio, madre di Tiziana, con cui si dava avviso della volontà di procedere alla riesumazione del cadavere. E sono sempre gli avvocati della mamma di Tiziana, a chiedere approfondimenti in campo tossicologico, per verificare la presenza di eventuali sostanze che potrebbero aver appannato la capacità di resistenza della donna trovata morta.
Era il 13 settembre del 2016, nella tavernetta di un villino a Mugnano. Faceva caldo, ma Tiziana venne trovata vestita («come se dovesse ricevere qualcuno», diranno i testi), con quella pashmina al collo che la madre Maria Teresa Giglio non ha mai riconosciuto. Aveva denunciato alla Procura il suo caso, legato alla diffusione di immagini private finite in un circuito pubblico. Una gogna che le rendeva la vita impossibile, complicata anche da una sorta di beffa: la causa civile intentata contro i colossi del web si era trasformata in una sorta di boomerang, tanto da essere condannata al pagamento di circa 30mila euro di spese processuali. Intanto, viveva rintanata in casa, sostenuta dalla madre e dai suoi parenti, dicendosi pronta a rivelare i nomi di chi le aveva fatto del male: nomi e volti di persone con cui aveva condiviso momenti di intimità destinati a rimanere coperti, secondo codici di comportamento saltati dopo la diffusione di immagini riservate.
LA DENUNCIA
Un intero mondo di professionisti e persone insospettabili (tra cui forze dell’ordine) che ruotava attorno a chat e video dedicati si sentì scosso dalla decisione di Tiziana di sporgere denuncia. Uno scenario su cui la Procura di Napoli nord ha deciso di riaccendere i riflettori anche alla luce di possibili manomissioni avvenute su telefoni e tablet della ragazza. Almeno 19 le anomalie segnalate che avrebbero ridotto l’iPhone e l’iPad a una tabula rasa. Poi, la storia delle tracce genetiche.
IL FOULARD
Sarebbero almeno due i profili di Dna isolati sulla pashmina di Tiziana Cantone, che non apparterrebbero a nessuno dei soggetti intervenuti a prestare i primi soccorsi in quel pomeriggio di cinque anni fa. Indagini a ritroso, che fanno i conti con il fattore tempo: come sono stati conservati i reperti? Qualcun altro in questi anni ha maneggiato quel foulard? Per quale motivo non si decise di procedere con un’autopsia sul corpo di una ragazza che si sentiva perseguitata e che minacciava di denunciare i contatti della sua vita privata? Genetica e informatica, al centro delle indagini.
A studiare esposti di parte e mosse investigative, si comprende che sono diversi i punti che non vennero esplorati nella primissima fase successiva alla morte della donna. Torniamo al cellulare, almeno secondo quelle che sono le conclusioni di parte. Restiamo all’iPhone di Tiziana, che fu trovato a poca distanza dal corpo esanime della ragazza. Secondo la ricostruzione dei difensori di parte, l’apparecchio sarebbe stato acceso, sbloccato e utilizzato per navigare sul web, per oltre un’ora, dopo il sequestro seguito al ritrovamento del cadavere. Circostanza strana, dal momento che si era sempre sostenuto l’impossibilità di scandagliare i dati sul telefono in quanto inaccessibile a causa del pin. Ora la parola alla Procura di Napoli nord, che dovrà ripercorrere l’incubo della bella di Mugnano, provando a dare un volto ai mostri che hanno affollato la sua coscienza nelle ultime ore di vita.