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 2021  maggio 28 Venerdì calendario

La mattanza dei politici in Messico

Alma Barragan indossa la mascherina contro il Covid e una scintillante maglietta arancione, col suo nome cucito sopra e lo stemma del Movimiento Ciudadano, nel video trasmesso via Facebook Live. «Salve a tutti, come state?», domanda sorridendo. «Io mi trovo a La Manguita, all’angolo con Pedro Guzman. Se vi fa piacere unirvi a me, venite a sentire le mie proposte. Passiamo un momento insieme, perché insieme possiamo fare meglio. Grazie. Vi aspetto qui».
Errore fatale, per un candidato alle elezioni messicane. Perché oltre agli elettori, il video lo vedono anche i suoi nemici, che così scoprono dove si trova. Nemmeno un’ora dopo, alcuni uomini armati si presentano all’appuntamento, ma invece di ascoltare il comizio sparano e ammazzano Alma.
Si contano i morti
Secondo la compagnia di consulenza politica Etellekt, con Barragan i politici messicani uccisi dal settembre scorso ad oggi sono saliti a 88, di cui 34 candidati. Il 6 giugno sono in programma le elezioni per 500 parlamentari, 15 governatori, 30 parlamenti locali, 1.900 consigli comunali e vari sindaci. Invece di contare i voti, però, si contano i morti. Perché i grandi cartelli del narcotraffico, ma anche le piccole bande criminali locali, stanno diversificando le loro operazioni. Oltre a spacciare droga, gestiscono altre attività come il traffico dei migranti, il contrabbando di benzina, o l’estorsione di imprese che vanno dalle fattorie ai ristoranti. Per farlo hanno bisogno del controllo assoluto del territorio, e quindi della collaborazione dei politici che lo governano. Se ci stanno, magari prendendo la loro fetta di profitti, bene; se si oppongono vanno eliminati.
La guerra dei cartelli
La violenza di vario tipo non è una novità nel Messico, come già raccontava Graham Greene nel «Potere e la Gloria». Ogni giorno vengono ammazzate in media cento persone. Nel 2020 il tasso degli omicidi è salito a 27 per 100.000 abitanti, nettamente sopra ai 5 per ogni 100.000 persone negli Usa. In più la giustizia è estremamente lenta e inefficiente, perché secondo le statistiche dello stesso governo federale nel 2019 solo lo 0,3% dei reati ha portato all’incriminazione e il processo dei responsabili.
Lo avevamo visto nel 2018, quando eravamo andati a Tecalitlán, nel cuore della regione controllata dal Cártel Jalisco Nueva Generación (CJNG), per indagare sulla scomparsa dei tre cittadini italiani Raffaele e Antonio Russo e Vincenzo Cimmino. Un paio di settimane dopo Víctor Guadalupe Díaz Contreras, giovane sindaco di Tecalitlán molto prudente nella gestione del caso, era stato ammazzato con trenta colpi di fucile.
Allora il problema più grave era la sfida feroce tra i due cartelli dominanti del narcotraffico, Sinaloa, che aveva perso il capo storico El Chapo, e CJNG, che stava emergendo e voleva prendere il suo posto. Ora però la situazione si è anche complicata.
«Area non governata»
La stessa amministrazione federale ammette che circa duecento gruppi criminali operano nel paese, e a marzo il comandante dello U.S. Northern Command, generale Glen VanHerck, ha detto che circa un terzo dell’intero territorio messicano è ormai considerato «area non governata», dove i grandi cartelli e le piccole gang fanno come vogliono. Il ministero degli Interni nega che le percentuali siano queste, ma non la gravità del problema. Da alcune regioni, come quella controllata proprio dal Cártel Jalisco Nueva Generación, sono arrivati anche video di episodi di cannibalismo contro i membri della gang rivali, che finora nessuno ha smentito.
Secondo gli analisti, l’emergenza è peggiorata perché la criminalità organizzata ha allargato le attività. I grandi cartelli naturalmente continuano il narcotraffico, e la costante guerra per il dominio del mercato della droga fa centinaia di vittime. Il problema è che ad essi si sono aggiunti una galassia di piccoli gruppi locali, e tutti hanno aggiunto nuove operazioni, come il traffico dei migranti, il contrabbando di benzina, o l’estorsione. Queste attività richiedono il controllo assoluto del territorio, e quindi i politici sono diventati un obiettivo ancora più essenziale da colpire, se si mettono di traverso.
Il presidente López Obrador ha denunciato l’omicidio di Alma Barragan, ma i suoi critici dicono che in parte è colpevole pure lui. Ha scelto la strategia degli «abbracci invece dei proiettili», puntando a risolvere il problema alla radice. Vuole dare lavoro e prospettive alla manodopera della criminalità organizzata, affinché scelga invece la strada della legalità. Ammesso che funzioni, questa linea richiederà anni per dare risultati concreti, mentre nel frattempo le forze dell’ordine perdono le risorse indispensabili a continuare la guerra sul terreno contro tutte la gang che vogliono controllare il Messico.