la Repubblica, 28 maggio 2021
Così FabrizioPalermo arrivò al vertice di Cdp
Qualcuno può essersi stupito per la decisione del Mef di sostituire Fabrizio Palermo dopo tre anni di mandato alla Cdp nonostante i buoni risultati di bilancio. In realtà l’insoddisfazione verso la gestione Palermo covava sotto la cenere da tempo. Per la verità fin dall’inizio, cioè da quando, nel luglio 2018, con Luigi Di Maio vice premier e il Movimento 5 Stelle sugli scudi dopo la potente vittoria elettorale, Palermo riuscì con un doppio salto mortale a passare da direttore finanziario della Cassa ad amministratore delegato. Il ministro dell’Economia di allora, Giovanni Tria, aveva mediato con i partiti e trovato la quadra con Massimo Tononi presidente (scelto dalle Fondazioni), Dario Scannapieco ad e Palermo direttore generale. Una cena tra tutti e quattro doveva suggellare l’accordo ma Palermo non si presentò preferendo premere su Di Maio per scavalcare Scannapieco e far suo il posto di ad. L’ardita operazione gli riuscì e Tria dovette raccogliere i cocci difendendo almeno il dg del Tesoro Alessandro Rivera dall’attacco dei 5 Stelle che volevano al suo posto Antonio Guglielmi di Mediobanca. I tre anni di Palermo si sono poi contraddistinti, oltre che per lo scontro diretto con Tononi, dimessosi a metà mandato, per la scarsa sintonia con la tecnostruttura di via XX Settembre, suo azionista di maggioranza. A partire dal controllo della Sace che il Mef di Roberto Gualtieri ha avocato a sé in piena pandemia per gestire in presa diretta il tema delle garanzie prestate alle imprese. Quindi c’è poco da stupirsi se con il tecnocrate Draghi a palazzo Chigi si sia consumata la rivincita di Scannapieco su Palermo e che a quest’ultimo non sia stato, per ora, assegnato alcun nuovo incarico nelle partecipate di Stato.