la Repubblica, 28 maggio 2021
Rawdah Mohamed, la modella con l’hijab
Rawdah Mohamed è nera e musulmana, è somala e norvegese, ama la moda e indossa il velo: in un paio d’anni è diventata icona di una modest fashionmoderna, che mescola elementi della tradizione musulmana e stili europei e americani, ma soprattutto un’attivista per i diritti delle donne musulmane molto seguita e combattiva.
L’industria della moda interessata ai giovani sempre più attenti all’inclusività – di generi, etnie, religioni – ne ha capito il potenziale e due giorni fa Mohamed è stata scelta come fashion editor di Vogue Scandinavia, una nuova edizione internazionale del marchio Condé Nast che verrà lanciata quest’estate. Un ruolo influente, che significa gestire rapporti con la pubblicità, ma anche avere una vetrina importante per riscrivere le regole del gioco. Aprire alle diversità. «Spero di essere una forza culturale capace di imparare, di crescere e di affrontare le sfide che verranno», ha commentato.
La modella si è fatta conoscere nel mondo dello street style durante la settimana della moda a Oslo, nel 2019. Ha sfilato a Parigi e a Milano, ma sono state soprattutto le sue prese di posizione politiche a darle visibilità internazionale. Ad aprile, quando il Senato francese ha votato a favore del divieto per le minori di indossare il velo, ha usato il suo profilo Instagram per lanciare la campagna #Handsoffmyhijab, giù le mani dal mio hijab, scritto sul palmo della mano sinistra in una foto che la ritraeva vestita col suo hijab bianco, il velo che copre i capelli lasciando scoperto il volto. Il post fu ripreso da migliaia di persone, compresa la deputata della sinistra democratica americana Ilhan Omar, ed è diventato il claim di una campagna social contro «gli stereotipi profondamente radicati» che riguardano le donne musulmane. «Il divieto di hijab è retorica odiosa proveniente dal più alto livello di governo e si rivelerà un enorme fallimento nella difesa dei valori religiosi e dell’uguaglianza», scrisse nel testo che accompagnava la foto.
Mohamed è nata in Somalia e ha passato i suoi primi anni di vita in un campo profughi. Ha iniziato a indossare il velo a 7 anni, a 8 è arrivata in Norvegia con i suoi genitori, rifugiati politici. Ha raccontato del bullismo che ha dovuto subire a scuola – «Mi aggredivano e mi toglievano l’hijab così spesso che dovevo portarne uno extra per le volte in cui i ragazzi lo prendevano e si rifiutavano di restituirmelo» – e delle discriminazioni sul lavoro: «Ho perso il conto delle molte volte in cui sono stata rifiutata per un lavoro a causa del mio hijab». Il velo, dice, è una forma di espressione, non di oppressione. Nelle ultime settimane è tornata a far discutere con la sua presa di posizione sulla guerra a Gaza. «Free Palestine», Palestina libera, ha scritto su Instagram quando Israele ha deciso di rispondere al lancio di centinaia di missili di Hamas bombardando la Striscia. «Il popolo palestinese conta su di te per aumentare la consapevolezza e i sionisti contano sul tuo silenzio», «condividi le informazioni sulle atrocità di Israele». Sono arrivati i like e le condivisioni, ma anche diverse critiche: «Perché non parli di come Hamas tratta i palestinesi? Di come nasconde coscientemente le armi nelle case dei civili per usarli come scudi?».