Corriere della Sera, 27 maggio 2021
Piccola guida al narcisismo
Arcipelago N di Vittorio Lingiardi è un libro (Einaudi) composto, come promette il sottotitolo, di «variazioni» su un tema, quello del narcisismo, che è un concetto talmente fluido e polimorfo da risultare molto più pericoloso di quanto sembri a prima vista. Se esistesse un metodo statistico per stabilire quante volte una certa parola viene citata a sproposito, c’è da scommettere che «narcisismo» avrebbe un posto molto alto nella classifica. Ed è lodevole il proposito di Lingiardi di mettere ordine in ciò che sappiamo di questo disturbo della personalità che sembra avere il potere di affliggere non tanto chi ne soffre, e spesso non se ne rende nemmeno conto, ma chi gli sta vicino. E del resto già il mito assegnava un ruolo importante a Eco, la ninfa innamorata di Narciso, capostipite simbolica di generazioni di sventurati e sventurate che si sono imbattute in persone incapaci di ascoltarle, perennemente ipnotizzate da sé stesse, e molto abili in ogni forma di manipolazione.
Lingiardi ha scelto di affrontare il tema muovendosi tra due piani di senso diversi e complementari, quello della mitologia e quello dell’esperienza dello psicoterapeuta, costretto a verificare ogni giorno in che modo imprevedibile i problemi della psiche si incarnino in ogni singolo individuo, assumendo la fisionomia di un destino irripetibile. È una scelta di metodo che mi sembra più che giusta, perché evita di impaludarsi nelle insopportabili generalizzazioni di quella «sociologia del malessere» che imperversa oggi in tutti i mezzi di comunicazione. Come quando, senza nessuna credibile verifica empirica, si afferma che i giovani sono più narcisisti che una volta, o che i social network o la moda delle diete rafforzano le tendenze narcisistiche della nostra cultura. A che serve una diagnosi, se riguarda un’intera civiltà, ovvero tutti e nessuno ? Questo è il limite di opere anche notevoli, come La cultura del narcisismo di Cristopher Lasch, e di innumerevoli articoli e libri che non durano nemmeno il tempo che è servito a scriverli, perché le culture e le società indossano e si tolgono le loro maschere con totale noncuranza, e l’unica vera tendenza che producono è l’eterno ritorno delle stesse identiche cose.
E dunque, una «cultura del narcisismo» può anche essere un fatto innocuo e divertente, mentre i singoli narcisisti e le persone che li circondano soffrono pene infernali. Tanto più che per i disturbi in questione non esiste, come per l’ansia o la depressione, una di quelle meravigliose pilloline che, se non risolvono tutto, una mano certamente la danno.
È istruttivo seguire Lingiardi mentre si confronta con innumerevoli colleghi in quello che, nonostante il luccicare delle teorie, rimane in fin dei conti un sapere empirico, e dunque sorprendente se vuole essere efficace. Lingiardi batte spesso su un tasto di cui solo l’esperienza di terapeuta può avergli suggerito l’importanza: se nel mito di Narciso e nelle sue innumerevoli riprese artistiche moderne, da Caravaggio al Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, la dismisura genera la catastrofe, in tutti noi un certo grado di narcisismo è una componente essenziale nel cammino della vita. Come accade con il colesterolo, anche il narcisismo si può dividere in «buono» e «cattivo».
Ma dov’è la soglia di sicurezza, e in quanti, innumerevoli modi ci accade di oltrepassarla ? Per loro natura, sia il mito che la malattia psicotica sono ambienti ostili, governati da leggi inesorabili. Ha un bel dire Carl Gustav Jung che gli antichi dèi si sono trasformati in malattie: a noi conviene stare il più possibile lontani dagli uni e dalle altre. La storia di Narciso in particolare, così come la leggiamo nelle Metamorfosi di Ovidio o nei repertori mitologici, non smette di ammonirci. Decenni di osservazioni scientifiche, ricorda Lingiardi, ci hanno portato alla conclusione che a soffrire del disturbo narcisistico sono le persone che, «nella prima età infantile, non hanno incontrato un accudimento adeguato ai loro bisogni». Questo è vero anche del Narciso dell’antica favola: figlio di un fiume e di una ninfa, sembra venuto dal nulla, generato dal suo stesso riflesso. Come si chiami sua madre, lo sanno solo gli eruditi e forse gli appassionati di parole crociate. È il contrario di Edipo, che si porta appresso la sua storia familiare come un’ombra. Raramente lo spirito umano ha prodotto un’immagine della solitudine paragonabile a Narciso. In confronto quella di Edipo sembra una storia molto più vivibile, ricca di possibilità. Ciò che più colpisce nel Narciso del mito e della pratica clinica è una glaciale, totale assenza di empatia. Non è l’amore di sé il centro del male, semmai si tratta di una conseguenza. La vera catastrofe è quando non riusciamo a immedesimarci nel pensiero degli altri, a capirne i pensieri e il loro perché. Forse colui che chiamiamo «Narciso» è quella parte di noi che è già morta, che non è mai vissuta.