ItaliaOggi, 26 maggio 2021
Intervista a Guido Crosetto (parla delle mance elettorali)
La dote ai giovani è l’ennesima mancetta elettorale. E la patrimoniale, che serve a pagarla l’ennesima tassa». Il nuovo codice appalti? «Rischiamo di buttare all’aria i soldi del Recovery plan». Così Guido Crosetto, imprenditore, cofondatore di Fratelli d’Italia, ex sottosegretario alla Difesa del governo Berlusconi IV.
Domanda. Sul dl Semplificazioni c’è alta tensione nel governo, la riforma del codice appalti scontenta tutti.
Risposta. Il punto è che in Italia non si riesce a parlare di appalti se non in modo ideologico: da un lato una certa sinistra che pensa a mettere regole su regole e ad allungare i procedimenti per evitare la corruzione; dall’altro una certa destra che pensa a togliere quante più regole possibile, aprendo a una deregulation che è parente stretta del far west. Il problema di fondo è che abbiamo un codice appalti che non funziona, che complica e allunga le procedure, che non dà sicurezza contro la corruzione ma neppure che si arrivi al risultato voluto, la realizzazione dell’opera, nei tempi previsti. Gli appalti prima ancora che essere occasione di corruzione sono terreno minato per l’intervento dei magistrati, basta un ricorso al giudice amministrativo e non se ne esce. Con il risultato che le opere si fanno male e tardi.
D. Da imprenditore cosa si aspetterebbe?
R. Mi aspetterei un’amministrazione che sia in grado di fissare prezzari veri a garanzia della qualità del lavoro e della serietà dell’impresa.
D. Nella bozza del dl Semplificazioni è spuntata l’aggiudicazione con massimo ribasso.
R. Il massimo ribasso ha generato solo imprese a bassa tecnologia, operatori di basso profilo, con lavoratori pagati poco e male, che spesso falliscono dopo aver preso l’acconto. E che drogano al ribasso il mercato. Serve una competizione tra imprese su livelli alti, e non bassi. Una gara tra pari, al di sopra di una certa soglia. E nel caso in cui l’opera non corrisponde al progetto, la ditta non deve essere liquidata.
D. Come fa un sindaco a scegliere un’impresa che dia garanzia di qualità, sotto il profilo tecnico ma anche di legalità?
R. Deve essere lo Stato a dirlo creando un albo di ditte che abbiano le condizioni per la solidità patrimoniale e giuridica.
E le gare devono essere fatte pensando a livelli medio alti di prestazione. Se passasse il criterio del massimo ribasso, butteremmo dalla finestra i soldi del Pnrr, affossando le imprese che lavorano bene e che fanno innovazione per avere opere che arriveranno tardi e nate già vecchie. Insomma, saremmo assai lontani dagli standard di un paese avanzato e competitivo.
D. Se lo sarebbe aspettato dal governo Draghi?
R. Il governo è cambiato, la burocrazia no. E lo dico da mesi, il governo Draghi non ha la polvere magica, l’apparato dello Stato è quello che aveva prima di lui Conte, e prima ancora Renzi e Letta. All’origine di molti mali c’è il tetto agli stipendi dei dirigenti pubblici. Chi lavora nello Stato e deve gestire macchine complesse, affidare incarichi e appalti, ha notevoli responsabilità. Pagarlo peggio che nel privato, dove di responsabilità ne avrebbe di meno gravose, significa incoraggiare i migliori ad andarsene.
D. Pochi 240 mila euro l’anno?
R. Per certi incarichi sì. Si può stabilire un tetto allo stipendio base, ma il resto deve essere commisurato al risultato e alle responsabilità. Altrimenti non avremo mai un’amministrazione pubblica fatta dai migliori, con dirigenti attrezzati per decidere e non per tenere le pratiche chiuse nel cassetto. Non è vero che uno vale uno. Non è vero in politica e non è vero nella pubblica amministrazione.
D. Il Pd è tornato alla carica con la tassa sull’eredità, per restituire ai giovani una parte delle maggiori fortune di chi giovane non è.
R. L’idea della restituzione è ideologicamente inaccettabile, restituisce chi ha rubato, non chi ha lavorato e pagato le tasse. Cosa diversa invece se si proponesse, nell’ambito di una strategia complessiva di revisione del sistema fiscale, di tassare di più le rendite per tassare meno il lavoro e gli utili. Ma chi fa solo il primo discorso, tassare di più i patrimoni, non vuole altro che aumentare le tasse e basta. Siamo il paese più tassato in Europa, non mi pare che ne abbiamo proprio bisogno.
D. Contrario dunque a una dote per i giovani?
R. I giovani hanno bisogno di un buon sistema di formazione e di un sistema meritocratico. Alcuni professori, che vorrebbero propinare nuove patrimoniali, dovrebbero saperlo.
Qui invece siamo ancora all’idea che le elezioni si vincono con le mance: prima gli 80 euro di Renzi, che danno 480 euro di mancia l’anno, poi il reddito di cittadinanza dei 5stelle, che dà 7 mila euro l’anno, ora siamo alla dote da 10 mila.
D. Giorgia Meloni è incoronata leader del centrodestra nei sondaggi. Cosa le manca per arrivare a Palazzo Chigi?
R. Nulla, e lo dico da tempo. Cosa diversa avere un partito che sia poi forza di governo: non esiste uno solo che vince e neppure una maggioranza di 200 parlamentari basta a cambiare il Paese, serve una squadra di manager, di burocrati, una classe dirigente che ci creda.