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 2021  maggio 21 Venerdì calendario

Biografia di Alessandro Zan raccontata da lui stesso

Alessandro Zan dice di non sentirsi una celebrità, però prima di cominciare l’intervista lo fermano chiedendo un selfie. Per forza: dopo l’uscita di Fedez, il disegno di legge che porta il suo nome è una star da milioni di condivisioni, e lo sciame digitale non sembra destinato a posarsi. Anzi. Tutti lo vogliono e tutti lo cercano. Interviste, inviti in tv, dirette online, e lui che è un quasi cinquantenne riservato e un po’ hipster non fa i salti di gioia sotto i riflettori; però il momento è favorevole e l’uomo che nel 2002 portò il Pride nazionale a Padova sa che bisogna approfittarne. Dopo tre decenni di attivismo nella società e nelle istituzioni, il leader di riferimento della comunità Lgbtq+ italiana si gioca tutto. "Ma non ho chissà quali ambizioni, mi sono sempre considerato un deputato del territorio. Per me conta solo far passare la legge. Poi non è detto si debba far politica per sempre".
Il territorio di cui parla l’onorevole Zan si chiama provincia veneta profonda, un posto che a metà dei Settanta è bianco che più bianco non si può. Eppure la sua storia di omosessuale è molto diversa da quella di Malika, la ragazza fiorentina cacciata di casa dai genitori perché lesbica. "Non che la mia famiglia abbia fatto le feste, eh. Però non ci sono stati conflitti. Quando mi sono dichiarato mia madre stava stirando, ha detto "fammi sedere un attimo", ma l’ha presa in modo carino, molto tenero. Mio padre sul momento un po’ meno, si è messo la mano sulla fronte e ha detto "non capisco più niente". Una reazione comprensibile, figlia di una cultura patriarcale in cui l’omosessualità del figlio mette in discussione anche la propria virilità. Ha dovuto lavorarci un po’, insomma".

La stagione della consapevolezza, quando?
"Fin da bambino. Mi sono accorto presto che ero attratto dalle persone del mio stesso sesso".

Adolescenza e prima giovinezza negli anni Ottanta. 
"L’epoca delle commedie in cui il gay è sempre descritto in chiave di macchietta, un tipo umano da deridere".

Però sono anche gli anni dei Village People e dei travestimenti di Renato Zero. 
"È vero, dal mondo del pop arrivavano segnali, e a volte avevano l’aria della provocazione. Ma a quel tempo l’eccesso era obbligatorio, quando c’è troppo silenzio bisogna urlare. E poi ricordo che di lì a qualche anno, sulle tv private, cominciavano a passare i primi film che affrontavano il tema senza macchiettismo. Si ricorda My Beautiful Laundrette?".

E l’amore per la politica?
"Il discrimine fu l’Erasmus. Vado in Inghilterra, conosco i primi grandi movimenti Lgbt e torno diverso. Molto più determinato e consapevole. Ma credo fosse comunque un fatto innato. Mia madre diceva che uno dei miei programmi preferiti, da piccolo, era Tribuna politica".

Nel 2004 ha fatto baciare gay e lesbiche nelle piazze di tutta Italia. Andò alla grande, ma pensi con i social... 
"Sì, fu una manifestazione di assoluta avanguardia per i tempi, se ci fossero stati gli attuali mezzi di comunicazione, tutta la grande potenzialità del web, avrebbe avuto una risonanza ancora più clamorosa".

La rete però è anche il luogo degli haters. Il saldo tra costi e benefici? 
"Assolutamente positivo. Pensi alla legge che porta il mio nome. Le tv iniziano a interessarsene solo ora, dopo che i social hanno imposto il tema. Poi, certo: le piattaforme dovrebbero mettere limiti a chi li usa per discriminare. Anche a questo serve il ddl Zan".

Ma Alessandro è stato mai vittima di ciò che oggi combatte? 
"Certo che sì, però l’ho riscoperto da poco. Avevo rimosso i dispetti, le battutine, la foratura della gomma; tutti quei gesti di discriminazione ed esclusione erano troppo dolorosi".

E in Parlamento? 
"Succede anche lì, ovvio. Quell’aula è lo specchio del Paese. E allora ecco l’allusione, il sorrisetto, o peggio".

Tipo?
"Nella scorsa legislatura, mentre parlavo, un leghista ha poggiato un finocchio sul banco da deputato. Non aggiungo altro".

Accade solo a destra dell’emiciclo? 
"Macché. Nel centrosinistra si è più maturi, ma gli effetti di una cultura patriarcale antica sono trasversali, fanno danni anche dalla mia parte".

Un leader di destra con cui di questi temi si può ragionare? 
"Guardi, forse Luca Zaia. Sarà che guida una Regione che ambisce alla modernità".

La delusione? 
"Giorgia Meloni. Da lei, leader donna che ha subìto odio misogino, mi sarei aspettato del coraggio. E invece".

In Parlamento ci sono etero che si innamorano o si sposano. Niente amori gay? 
"Figurarsi. Solo che gli omosessuali non si dichiarano, o fanno fatica a farlo. Gliel’ho detto, siamo lo specchio del Paese".

È fidanzato? 
"Ahimè, no. E mi manca. Ma per avere una storia devi dedicarle tempo. Ora sono fidanzato con la politica".

Immagini di esserlo tra cinque anni. Adotterebbe un bimbo con il suo compagno? 
"Potrebbe succedere, perché no. Anche se per allora forse sarò già un po’ troppo in là con gli anni, per i figli serve energia".

Facciamo che si innamori tra un anno. A suo figlio in quale Paese augurerà di vivere da grande? 
"In questo. Perché, al di là della legge, sono ottimista. La generazione Z ha un linguaggio già molto diverso, il futuro è inevitabile".

Dica la verità: lei Fedez lo ascoltava anche prima?
"Intanto mi faccia dire che è un artista di grande generosità. E poi sì, avevo ascoltato alcune sue canzoni e mi piacevano. Ma confesso: prima non sapevo che fossero le sue".