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 2021  maggio 26 Mercoledì calendario

Intervista a Diodato

Oggi su Netflix arriva Il Divin Codino , storia di Roberto Baggio. Non è un doc, non è un docufilm, è un film in unica soluzione sulla storia dell’asso più talentuoso del nostro calcio in era moderna. Lo interpreta Andrea Arcangeli (somiglianza che inquieta), nel cast un Andrea Pennacchi in perenne stato di grazia nei panni del padre e Valentina Bellè in quelli della moglie Andreina. La storia è piena di risvolto umano, il campione bersagliato dagli infortuni, il talento, i successi, un carattere difficile da portare e un rigore: sbagliato in modo inconcepibile proprio quando non si poteva, in una finale mondiale. E Antonio Diodato? Aveva 13 anni e ricorda quel rigore, per le vittorie a Sanremo era presto, ma lui era in qualche modo il fan ideale. E nel Divin Codino irrompe la canzone che Diodato ha scritto apposta, si chiamaL’uomo dietro il campione e accompagna per mano la storia narrata nel film.
Ha incontrato Baggio prima o dopo?
«Dopo. Con tutti i timori del caso: mi ha detto subito che era contento della canzone. Lì è diventato tutto più facile. E poi c’era un biliardino e il video della canzone da girare».
E così?
«Ci danno la pallina e il regista dice: dai, fate finta per un po’ che ci serve per le riprese. E come no? Pallina in mezzo agli omini, pum, tok, gol. Tre secondi».
Gol di chi?
«Suo. Siamo scoppiati a ridere, è diventato tutto ancora più facile. Ma c’era anche il senso del divertimento irresistibile che il calcio porta con sé, è il calcio che comanda noi e non viceversa».
La canzone si chiude con la frase “Pure quel rigore a me ha insegnato un po’ la vita”. Si è misurato con il fatto che quarant’anni fa qualcuno, su un ragazzo che calciava un rigore, aveva già scritto la canzone definitiva?
«Ho pensato solo a quella, temo. Un confronto da far tremare chiunque. Ma è vero che è passato molto tempo e poi c’è una differenza non da poco. Nino, quel rigore lo segnava».
Non ha mica tutti i torti.
«Quella di Baggio è una storia diversa. È il suo lato umano incredibile, amatissimo: sbaglia quel rigore e la gente si immedesima, ancora oggi lo abbracciano in strada. Metta questo insieme al precedente di De Gregori, c’era da rinunciare: ma alla fine, forse anche pensando all’esempio di Roby, sono andato avanti e ho infilato nella canzone un’emozione dopo l’altra».
Senza una metafora: una volta i cantautori non erano così.
«Capisco cosa intende. Ma è cambiato tutto, il linguaggio si è asciugato ovunque, nel privato, nella politica, in scena. Andiamo diretti e facciamoci capire. Baggio è così, in fondo».
Nel senso?
«Forse anche grazie al buddismo, una determinazione non comune ma che riporta alla semplicità delle cose e dei sentimenti: da uno come lui, unico e irripetibile, attaccatissimo alle sue radici proprio quasi in senso fisico».
Le canzoni e lo sport, i suoi campioni. Chi ha fatto davvero centro?
«Lucio Dalla con Ayrton . Piango ancora ascoltandola. E citando questa, penso anche al riferimento, veloce ma potentissimo, di Cesare Cremonini che li accomuna».
Da quando Baggio non gioca più, Senna non corre più.
«Non c’è solo lo sport, lì dentro. C’è l’umanità, la percezione di quanto campioni amatissimi andassero ben oltre il lato sportivo».
Ci serve un finale. Lei vince Sanremo e per pandemia non fanno Eurovision – anche se lei si produce in una notevole performance dall’Arena di Verona. L’anno dopo vincono i Måneskin, Eurovision si fa e vincono. Lei cantava “Fai rumore”, loro “Zitti e buoni”. C’è un senso o lasciamo stare?
«Sono felice per loro, gli avevo scritto prima scherzando proprio sui due titoli: andate, fate rumore e gli altri tutti zitti e buoni. L’anno prossimo sarà divertente per tutti vedere Eurovision in Italia».