la Repubblica, 26 maggio 2021
La storia del design in un Compasso d’oro
Che cos’è il design? La risposta meravigliosa arriva da Alessandro Mendini, il papà della Poltrona di Proust o dei cavatappi di Alessi: «Un’attività ludica applicata alle cose minimali, l’esile magia dell’effimero, il mestiere sapiente di un giocoliere».
Si apre su questo aforisma e su decine di altri pensieri in libertà dei maestri del progetto, il nuovo museo che Milano dedica all’epopea gloriosa del Compasso d’oro, il più prestigioso e antico premio internazionale di design, che dal 1954 incorona idee, aziende o creativi protagonisti di una lunga storia della bellezza prodotta in serie. Presentato ieri alla presenza del ministro Dario Franceschini, del sindaco Beppe Sala, oltre a Regione Lombardia e Confindustria, l’Adi Design Museum è il primo nuovo museo italiano che inaugura quest’anno all’indomani del lockdown e rappresenta, come ha detto Franceschini «un simbolo della ripartenza, della vitalità della nostra cultura che va di pari passo con una nuova sezione speciale del Ministero dedicata alla Creatività contemporanea e alla valorizzazione dei giovani maestri». Il museo che avrebbe dovuto aprire lo scorso anno a primavera, bloccato dal Covid, ha posticipato a oggi l’apertura di un percorso allestito lungo i 2400 metri quadrati di spazio (altri 2mila di backstage) di uno spazio d’archeologia industriale, un tempo riservato alla rimessa dei tram milanesi, poi passato all’Enel, e ora dipanato sotto il tetto a shed che illumina sezioni collegate fra loro da un progetto allegro e insieme rigoroso. Firmato dallo studio Migliore + Servetto Architects insieme a Italo Lupi.
Diviso fra la collezione permanente e gli spazi per le mostre temporanee, il viaggio nel mondo degli oggetti della nostra storia, domestici, pop, leggendari, audaci, futuristici o familiari, alterna prototipi, disegni, documenti, foto, modelli frutto del talento di giganti: Munari, Castiglioni, Magistretti, Danese, Mangiarotti, in una prospettiva che allarga, come recita il titolo della sezione storica, “Dal cucchiaio alla città”.
I cucchiai sono quelli di Sambonet. La città è quella di Pininfarina e delle sue forme aerodinamiche fatte di efficienza e passione; o, come diceva lui, genio che elesse la carrozzeria nell’empireo dell’estetica, «dal valore aggiunto immateriale ed emozionale».
Fluttuando fra le 26 edizioni del Compasso, fra 350 esemplari simbolo della loro epoca, di un gusto, di un sogno, ecco allora i grandi classici da manuale: la Lettera 22 di Nizzoli per Olivetti, la lampada Eclisse di Artemide, persino le “Ricerche individuale di design” di un giovanissimo Enzo Mari premiato a 35 anni per i suoi studi inesausti. Se è vero che la funzione di un oggetto non cambia, è anche vero che le variazioni sulla forma possono essere infinite e la scelta dei masterpiece messi in fila dal curatore Beppe Finessi lo dimostra.
Cento sedute per cento sedie diverse. Nel percorso “Uno a uno” che raccoglie con brio l’evoluzione della specie nel design, si assiste alle metamorfosi dalla prima Fiat 500 di Dante Giacosa all’ultima nata, dalla prima Ferrari storica da competizione (messa in mostra anche dal Moma di New York) alla Ferrari Monza SP1 incoronata dal Compasso l’anno scorso. Le parole, i sogni, i progetti in poesia di Sinisgalli, Dorfles, Branzi fanno da sfondo alla visita che si chiude su un’altra risposta fulminante di Giancarlo Iliprandi alla domanda «Cosa sarà mai questo design? Una campionatura di possibilità che declina dal noto all’imprevisto».