la Repubblica, 26 maggio 2021
M5s, in 8 anni di scissioni nati 15 partitini
Il nuovo “soggetto politico” che a breve verrà lanciato dagli ex 5 Stelle Nicola Morra e Barbara Lezzi sarà l’ultimo di una lunga serie. Nella pur relativamente breve storia del M5S, infatti, le scissioni con annesse fondazioni di “soggetti politici” sono state così numerose che in confronto i ritmi di proliferazione di sigle ex Dc o post-comuniste sono roba da dilettanti. Il primissimo che tentò di sgretolare il monolite di Beppe Grillo, all’epoca formazione extraparlamentare in ascesa, fu Valentino Tavolazzi. Originario di Ferrara, attivista degli albori poi cacciato dal comico perché voleva strutturare il M5S – a conti fatti aveva visto giusto, ma allora però anche solo pensarlo era suprema eresia – assieme ad altri ad inizio 2013 fondò Democrazia in movimento, contro la “deriva verticistica” del fondatore. Senza successo. E questa è la cosa che accomuna questi esperimenti: falliscono tutti, evidentemente extra ecclesiam nulla salus. Le piccole chiese scismatiche denunciano di volta in volta le contraddizioni, i repentini cambiamenti di linea, i cedimenti al sistema. Ogni volta la denuncia si accompagna a una bella dose di sdegno, come se la scoperta fosse recente e opera degli stessi neo-dissociati. Ma non per questo elettori ed attivisti delusi virano sui nuovi custodi dell’ortodossia, che spesso erano i più accesi fustigatori dei dubbiosi del M5S quando però dubbiosi e scontenti erano gli altri.
Un altro emiliano della prima ora, cacciato pure lui con ignominia, cioè Federico Pizzarotti, è l’unico riuscito a non finire in un cono d’ombra, almeno per metà: si ricandidò sindaco di Parma senza l’appoggio del M5S e fu comunque rieletto, ma l’esperienza di Italia in Comune (alle Politiche del 2018 andò col centrosinistra) è finita in un binario morto: zero eletti, proprio quando invece il Movimento fece registrare il suo record storico. Che dire invece di Alternativa Libera? Il M5S era entrato in Parlamento da poco meno di due anni, le espulsioni erano spesso arbitrarie e allora una decina di eletti mollarono coordinati, tra loro c’era Massimo Artini, deputato fiorentino e informatico che lavorava ad una piattaforma online davvero senza padroni. Finì in una bolla di sapone.
Anche i nomi dati alle nuove formazioni meritano un capitolo a parte. Sempre prima legislatura, il Gap, che ricordava la gloriosa formazione partigiana, stava invece per Gruppo di azione popolare. Dopo il Gap, un burocratico Italia Lavori in Corso e un criptico Movimento X. In questa legislatura: un codicistico R2020 (sta per Resistenza, sono gli antivaccinisti), un classicissimo Centro-popolari italiani (Emilio Carelli), un anglofono Italexit (Gianluigi Paragone, no euro), un ambientalista Eco (l’ex ministro Lorenzo Fioramonti), oltre a un ritorno a echi passati con L’Alternativa c’è di Pino Cabras. Dopodiché vanno aggiunte le scissioni sui territori. Le liguri Marika Cassimatis e Alice Salvatore: in due tre liste e tre flop elettorali da 0 virgola. In Piemonte invece la no Tav Francesca Frediani e il collega Giorgio Bertola hanno formato il Movimento 4 Ottobre, in onore del giorno di fondazione dei 5 Stelle. Sicuramente il dopo-Draghi sembra il momento più complicato della storia del M5S. Gli addii stavolta sono di prim’ordine – vedi Alessandro Di Battista – e oltretutto c’è la piattaforma Rousseau di Davide Casaleggio che, da architrave, si sta trasformando in concorrente. Ma il motto latino resta comunque lì a far da monito, fuori dalla casa madre il rischio di dissolvenza è altissimo.