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 2021  maggio 25 Martedì calendario

Intervista a Vasco Rossi

Li aveva supportati già a Sanremo: «La Ferragni ha fatto un tweet per Fedez, io l’ho fatto per i Maneskin. Quando hanno vinto non ci potevo credere». Ed è stato ancora più felice quando hanno vinto l’Eurovision.
Vasco Rossi, come sta?
«Tengo duro. Come tutti».
Si è vaccinato?
«Certo. Ho fatto la prima dose».
Con cosa?
«AstraZeneca. Non sono uno di quelli che vuole scegliere. Credo in quello che dicono i medici: per me sono tutti sicuri. Ho avuto un po’ di febbre la notte e poi basta».
Come ha conosciuto i Maneskin?
Guarda X Factor?
«A dire il vero no. Me li aveva segnalati mia moglie, la Laura. Mi sono incuriosito, li ho guardati e mi hanno colpito: sono giovani, belli e soprattutto rock!».
A Sanremo ha tifato per loro.
«La canzone era molto bella: il riff di chitarra iniziale fenomenale. Per me è davvero quello di un grande pezzo rock. Quando ho sentito il testo che diceva: “Sono fuori di testa, ma diverso da loro” mi è sembrato che fosse un po’ la loro Siamo solo noi ».
Si è rivisto?
«Sì, ho sentito quel senso di ribellione, la voglia di andare contro la società omologata che provavo io. Oggi c’è un’omologazione diversa ma forse peggiore con i vari social dove spesso trionfano le cose più assurde, dai terrapiattisti a quelli che mi scrivevano che avevo paura del virus e per questo invitavo tutti a mettere le mascherine. Io non li invitavo: li obbligavo quelli che venivano a trovarmi quando ero a casa di mia mamma a Zocca, perché non hai solo la responsabilità verso di te, ma anche verso chi ti sta vicino».
Crede che sia importante l’affermazione dei Maneskin in un contesto internazionale?
«Sì molto. Perché, come devono fare le nuove generazioni, hanno ripreso la mia grande battaglia: quella di fare il rock in italiano. Negli anni 80 eravamo in pochi, io, la Nannini…».
Ed Eugenio Finardi: ho visto che anche lui ha difeso i Maneskin…
«Beh certo, con Musica ribelle. C’erano anche altri come la PFM: grandi musicisti. Una volta che l’ho incontrato mi ricordo che Finardi mi ha detto: “Guarda, sono contento che sei andato avanti tu…” nel senso “a prendere gli schiaffi” (ride). Perché in quel periodo li prendevi davvero, non eri considerato uno normale. E in più non ti prendevano neanche sul serio perché sembrava che il rock potessero farlo solo gli inglesi o gli americani. Solo nei primi anni Novanta con i concerti di San Siro credo di essere riuscito a dimostrare che potevamo essere credibili anche noi, non solo i Rolling Stones».
Che cos’è il rock per lei?
«È libertà, provocazione, voglia di dire quello che non ti piace. È anche sesso. E la capacità di mettere insieme dei testi che dicono qualcosa con lo spettacolo che fai, con i gesti, i movimenti. Trovo ridicola la polemica che è venuta fuori dai francesi che hanno avuto i poeti “maledetti” e non hanno detto mai niente di Lou Reed o dei Rolling Stones e che adesso hanno tirato fuori questa cosa della cocaina. Ma da un lato è anche bello che sia accaduto perché dimostra come con il rock i pregiudizi sono duri a morire. E se anche fosse stato, cosa conta? Sei lì per valutare la musica, non i comportamenti, la vita privata. A parte che si vede benissimo che loro sono pulitissimi. E freschi».
Che cosa le è piaciuto di più?
«Gli voglio fare i complimenti anche perché finalmente in Europa non è andato in onda il solito stereotipo dell’italiano con la fisarmonica, il mandolino o il carretto tirato dal somaro ma si è visto un gruppo italiano che dice cose come: “Parla, la gente purtroppo parla/ Non sa di che cosa parla”. È la reazione sacrosanta di ragazzi ventenni a quello che vedono in giro. Poi si muovono nel modo giusto, Damiano canta molto bene, ha una voce splendida, e c’è finalmente una donna! Credo sia lei una delle menti del gruppo. Ma ognuno di loro ha la sua forza. E poi la cosa bella è che hanno iniziato dalla strada. Qualcuno ha scritto che sono “costruiti”. Ma che costruiti! Questi sono proprio veri, puri».
Qualcosa sta cambiando?
«Credo di sì. Quest’anno a Sanremo le canzoni in media erano più belle del solito e questo credo sia merito anche di Amadeus. Penso che la novità sia stata che i giovani questa volta l’hanno guardato e hanno votato perché si sono rispecchiati di più».
Manuel Agnelli è stato il loro “coach”.
«È stato bravo a capire il loro valore. Mi sono trovato d’accordo con lui anche sugli aiuti allo Spettacolo».
E adesso cosa succederà?
«Ora viene il difficile. Non bisogna accontentarsi, devono rimanere arrabbiati, affamati. Devono cercare di pensare poco al grande successo e mettersi subito a scrivere altre canzoni belle come questa. L’altra grande sfida che dovranno affrontare è quella di restare insieme perché nei gruppi nascono sempre frustrazioni, nevrosi. Insomma gli auguro di continuare a essere come sono».