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 2021  maggio 23 Domenica calendario

Intervista a Valeria Golino

Sarà la primavera romana, con il clima frizzante delle riaperture, sarà il rientro in Italia, dopo quattro mesi a Los Angeles, in piena pandemia, per la seconda stagione di The Morning Show (Apple Tv), sarà che, del suo essere attrice e regista, ha sempre fatto parte una carica umana contagiosa. Per tutte queste ragioni Valeria Golino è, ancora una volta, una scoperta, un fuoco d’artificio di confessioni curiose, risate gorgoglianti, proclami controcorrente. Nel film Fortuna, esordio alla regia di Nicolangelo Gelormini, ex-assistente di Paolo Sorrentino, diplomato al Csc dopo la laurea in architettura, ha il doppio ruolo di madre inadeguata e psicologa consapevole, in una storia nera ispirata alla fine tragica di Fortuna Loffredo, lanciata nel vuoto, a Caivano, nel 2014, da un edificio del famigerato Parco Verde: «Ho capito subito di voler essere in questo film, prometteva qualcosa di molto scomodo e destabilizzante, durante le riprese ero come in allarme. Al fatto di cronaca non ho mai pensato, mi sono lasciata guidare dal punto di vista etico ed estetico dell’autore».
Lei è anche regista, preferisce essere diretta da autori con una visione precisa oppure da chi lascia più libertà?
«Mi trovo decisamente meglio con quelli come Gelormini. Anche quando non ero d’accordo e, tra me e me, borbottavo perchè faceva sempre quello che voleva lui, stavo comunque bene, molto meglio che lavorare con chi non ha un punto di vista netto. Preferisco innervosirmi con chi è troppo determinato, piuttosto che con il medio o con il vuoto».
Le due donne che interpreta tendono all’accoglienza. Lei lo è nella vita reale?
«Negli anni mi è stato detto che sono accogliente, materna, pur non avendo figli. Forse sono empatica, ma è anche vero che le persone non sono mai univoche, contengono tante cose diverse».
Fortuna è un’immersione nel mondo dei più piccoli. Che rapporto ha con quest’universo?
«Avverto il gap tra l’infanzia di oggi e quella che abbiamo vissuto noi. Non ho un rapporto quotidiano con i bambini, ma mi sembra che oggi siano molto diversi da allora, non vengono mai dati per scontati, devono sempre essere intrattenuti, sono mille volte più veloci. Noi siamo cresciuti nel disinteresse dei genitori, non eravamo così importanti, nessuno ci considerava i re e le regine della casa, ma avevamo con l’esistenza un rapporto più corporeo, più graffiato. Siamo tutti ammirati e turbati da quest’infanzia che non somiglia alla nostra, mi piacerebbe trovare il modo per parlarne, sto pensando da un po’ a una storia che ha per protagonisti una donna adulta senza figli e un pre-adolescente, non legati da rapporti di parentela ».
E’ appena tornata dagli Usa come è stata lì la pandemia?
«Prima di tutto sono stata "vacinada" come canta Checco Zalone, in quanto fumatrice rientravo nelle categorie fragili e ne sono stata molto contenta. Lì, appena l’hai fatto, ti riempiono di congratulazioni. A gennaio ho trovato una Los Angeles completamente diversa da quella che conoscevo, durante la quarantena sentivo solo le sirene delle ambulanze, c’era un’aria lugubre. Poi, in due mesi, tutto è cambiato, gli americani sono veramente incredibili, riescono a essere insieme i peggiori e i migliori, mi fanno rabbia. Adesso la California è quasi Covid-free».
Cosa pensa, a proposito di Usa, del dilagare del politically correct in campo artistico?
«L’arte deve liberarsi dall’idea di dover essere impegnata nel giusto e nel bello, non è questo il suo dovere. L’arte è altro, non è obbligata a fare pedagogia, deve essere naturalmente contro. L’ottusità di polemiche tipo quella di Biancaneve che non può essere baciata dal Principe mi fa girare la testa».
A cosa sta lavorando?
«Sto scrivendo un adattamento dell’ Arte della gioia di Goliarda Sapienza, spero di trarne una serie».
Fortuna esce il 27 in sala, come vede la situazione dopo i tanti mesi di streaming?
«È bello che il film esca nelle sale, è un gesto ottimista, di buon auspicio, siamo contenti di sapere che, chi vuole, potrà vederlo nel buio dei cinema. Ma è anche chiaro che, come tutti, siamo preoccupati, è un momento di transizione, bisogna capire se le nuove abitudini si sono radicate o meno in modo irreversibile».