Corriere della Sera, 22 maggio 2021
Il libraio di Gaza
Da vent’anni Samir alzava lo sguardo dalle pagine del libro e verificava se il campanellino sulla porta annunciasse un bambino o una bambina. Dei due piani della libreria, quello che lo riempiva più d’orgoglio adesso lo svuota di tutto tranne il dolore: era dedicato ai titoli per l’infanzia e per i ragazzi. Da Samir Mansour – il negozio porta il suo nome e cognome – passavano gli studenti dell’università poco lontana e chi a Gaza può permettersi di spendere soldi per un libro.
Martedì un missile israeliano ha riportato questo sogno con i piedi per terra, al livello dove adesso sta il tetto sbriciolato sopra al resto. Qui i soccorritori non hanno cercato di tirare fuori corpi senza vita ma quello che dà vita ai corpi. La lettura, la fantasia, la voglia di imparare e scoprire. Samir prende una copia coperta di fango, è Agatha Christie, una delle indagini di Poirot. Il libraio di Gaza non sa risolvere il mistero: perché proprio questo edificio sia diventato un obiettivo militare. «Mio padre era un editore, ho cominciato a lavorare con lui, mi ha insegnato a diffondere la cultura. Ho accumulato migliaia di libri. Tutti perduti». Anche Maher Al Kolak non riesce a capire come sia possibile che l’aviazione abbia bersagliato la casa della sua famiglia. Elenca i piani e per ogni piano una professione, quasi a dire lavori e vite troppo noiosi, senza scossoni per finire sconquassati in 30 secondi. Al piano terra il negozio di materiale elettrico del padre, sopra il fratello avvocato, poi quello commercialista e all’ultimo l’ingegnere.
Rimal è zona residenziale, le strade scendono verso il mare e il porto, le jacarande sui vialetti ammorbidiscono il grigio polveroso della luce, dietro l’angolo dalle macerie c’è la rosticceria Palmera che da quasi trent’anni serve shawarma, la pagnotta riempita con un po’ di tutto e carne di pollo, dolcetti, succhi di frutta (l’alcol è proibito dalla buoncostume integralista).
2009, 2012, 2014 e fino a ieri: sono i conflitti tra Hamas e Israele, ciclici da quando i fondamentalisti hanno tolto con un golpe il controllo della Striscia all’Autorità palestinese 14 anni fa. «Il quartiere è sempre stato sicuro – ripete Maher,farmacista – lontano dai bombardamenti più pesanti».
Abbiamo vinto e le regole del gioco sono cambiate. Hamas sbaglia, se pensa che accetteremo il lancio sporadico di razzi
In questi 11 giorni il pericolo si è avvicinato: 50 metri più in su è venuta giù anche la palazzina abitata da altre famiglie della classe media, per quel che può esistere in mezzo alla miseria della Striscia. In una stessa notte, tra sabato e domenica scorsi, sono state uccise 45 persone, 14 erano parenti di Maher. I portavoce dell’esercito israeliano spiegano che i missili hanno centrato le gallerie sotterranee usate dalle truppe irregolari di Hamas e la voragine ha coinvolto i palazzi. Le vittime della guerra sono 243 (66 minori), nella sua contabilità della morte il ministero della Sanità a Gaza non distingue tra civili e miliziani.
Dagli altoparlanti delle moschee gli imam rilanciano i sermoni del venerdì e le preghiere rituali per quelli che non hanno ancora avuto un funerale. Sono i combattenti rimasti seppelliti nei tunnel, uno degli obiettivi strategici definiti da Aviv Kochavi, il capo di Stato Maggiore israeliano: distruggere quella che l’intelligence chiama la «metropolitana», i chilometri di cunicoli costruiti da Hamas e dalla Jihad Islamica, trincee sotto la sabbia e sotto le case da dove preparare agguati in caso di incursione dei soldati e da dove spostare i razzi verso le rampe di lancio. In meno di due settimane ne sono stati sparati 4.360 contro le città israeliane: i morti sono stati 13, tra loro un bambino di 5 anni e una ragazza di 16.
A Khan Younis – il villaggio di Yahia Sinwar, il capo di Hamas nella Striscia – le brigate Ezzedin Al Qassam celebrano in uno stadio 9 «martiri», i corpi avvolti nella bandiera verde dell’organizzazione e allineati sull’erba sintetica. I minibus scarrozzano i bambini per il centro di Gaza a sventolare gli stessi vessilli, i megafoni amplificano i proclami di vittoria, per ora i leader non sono usciti dai bunker, resta la minaccia israeliana di eliminarli. Chi parla in pubblico – dagli agi e dalla sicurezza in Qatar – è Ismail Haniye: «Abbiamo trionfato e distrutto il progetto di normalizzazione», dichiara riferendosi agli accordi di Israele con gli Emirati Arabi e il Bahrein. «Abbiamo visto la nostra nazione risvegliarsi, ergersi a Gerusalemme». I boss del movimento hanno rivendicato il lancio di razzi all’inizio delle ostilità come risposta alle cariche della polizia israeliana sulla Spianata delle Moschee. Anche ieri gli agenti hanno disperso i palestinesi che tiravano molotov, i dimostranti inneggiavano ad Hamas. Che così ottiene quello che voleva con questo conflitto: estendere la sua influenza sui palestinesi a Gerusalemme e in Cisgiordania a scapito del presidente Abu Mazen.
Gli uomini dei servizi segreti egiziani sono arrivati a Gaza per cercare di consolidare il cessate il fuoco. Le armi si sono fermate alle 2 del mattino di venerdì senza un’intesa, il rischio è che la calma duri poco: «Abbiamo vinto e le regole del gioco sono cambiate. Hamas sbaglia, se pensa che accetteremo il lancio sporadico di razzi come in passato», avverte Benjamin Netanyahu, il premier israeliano. «Tregua o non tregua, il nostro dito resta sul grilletto», è la risposta dei fondamentalisti.