La Stampa, 22 maggio 2021
Un richiamo l’anno. Intervista a Fabrizio Curcio
Ne stiamo uscendo. Usa tutta la prudenza del mondo, Fabrizio Curcio, ma non trattiene l’ottimismo: «La luce in fondo al tunnel si vede eccome – dice il capo della Protezione civile – ci stiamo riprendendo la nostra normalità, ma questo virus va sempre rispettato nella sua drammaticità». Insomma, nessuno strappo in avanti, anche se l’indice di contagio Rt ora ci sorride, perché «solo la gradualità nel ripartire ci consente di capire a cosa andiamo incontro». Intervistato dal direttore de La Stampa, Massimo Giannini, nella trasmissione “30 minuti al Massimo” (disponibile su lastampa.it), Curcio fa un bilancio di questi tre mesi di gestione dell’emergenza, in tandem con il commissario Francesco Figliuolo. Sottolinea l’accelerazione della campagna di vaccinazione e l’obiettivo urgente di «proteggere i sessantenni», rilanciando anche l’ipotesi dell’obbligo vaccinale, «un’opzione da valutare per il futuro».
Il cambio di passo c’è stato, ma ancora non siamo stabilmente sopra le 500 mila somministrazioni al giorno. Si può fare di più?
«Possiamo aumentare ancora, ma credo che siamo già a un ottimo punto, con una media nazionali del 91% di dosi somministrate rispetto a quelle consegnate. Per me è questo il dato che conta. Di fatto, le usiamo quasi tutte e continueremo così a giugno, quando arriveranno 20 milioni di dosi».
Ecco, visto quello che è successo finora, sulle forniture siamo tranquilli?
«Direi di sì, non ci aspettiamo defaillances. Il generale Figliuolo è instancabile nel compulsare le aziende farmaceutiche, per evitare imprevisti. Va detto che una delle atipicità di questa emergenza è che i vaccini vengono prodotti e subito distribuiti, senza fasi di compensazione, quindi possono capitare incidenti di percorso. Ma con questi numeri dei vaccinati direi che possiamo stare tranquilli».
Un terzo degli italiani ha avuto almeno la prima dose, cosa significa?
«Abbiamo 20 milioni di persone protette, soprattutto nelle categorie più a rischio. Un italiano su tre ha ricevuto il vaccino, anzi la percentuale è più alta, visto che non tutte le fasce della popolazione sono vaccinabili. Poi abbiamo un 18-20% che ha completato il ciclo con la doppia dose, quindi siamo a buon punto».
Però ci sono quasi due milioni di anziani non ancora raggiunti dalla campagna…
«È vero ed è un problema. Bisogna capire quanti non si vogliono vaccinare, perché nei vari sopralluoghi ho scoperto che ci sono sacche di resistenza e, finché la vaccinazione resta volontaria, non puoi fare molto. Poi bisogna raggiungere quelli che non si prenotano, perché non hanno accesso a strutture informatiche: a livello territoriale, si stanno attivando presidi nei piccoli borghi e nelle aree più isolate per affrontare questo fenomeno».
Accennava alla questione dell’obbligo vaccinale: prevederlo, come per altri vaccini, non avrebbe reso tutto più semplice?
«Poteva essere una soluzione, ma è un tema che spetta alla politica. Avrebbe significato forzare la volontà delle persone di fronte a vaccini ancora soggetti a rolling review (revisione ciclica, ndr). Comunque è un’opzione da valutare bene per il futuro, visto che dovremo fare richiami annuali».
La diffidenza si è registrata soprattutto nei confronti del vaccino AstraZeneca, anche per una comunicazione un po’ ondivaga da parte degli enti regolatori, Ema e Aifa. Oggi questo impatto psicologico negativo è superato?
«Aggiornamenti del piano vaccinale e valutazioni diverse in corso d’opera erano inevitabili, man mano che aumenta il numero di persone vaccinate. Sicuramente c’è un tema legato alla comunicazione, non solo in Italia, e alla percezione, rispetto a un vaccino che è sicuro come gli altri. La disaffezione non è stata omogenea e, comunque, ora sembra passata: gli Astra Day sono andati benissimo praticamente ovunque».
Il vaccino in vacanza si potrà fare o no?
«Non è questo il nodo principale, inutile fissarsi. Capisco la voglia di normalità, è giusto pensare alle vacanze, ma non penso che in molti faranno tre mesi di ferie: credo si possano allineare le esigenze personali in funzione della vaccinazione. Poi, se ci sono situazioni particolari, si trova una soluzione, capiremo con le Regioni come fare a livello organizzativo. Ma non credo che gli italiani resteranno senza vaccino per andare al mare».
Anche su questo tema si è sentito il rumore di fondo delle diverse sensibilità regionali. Il federalismo sanitario ha dimostrato tutti i suoi limiti. Cosa fare per non dover rivedere questo caos?
«La premessa è che le emergenze amplificano i problemi e quello del rapporto tra stato centrale e territori c’era anche prima della pandemia e non solo a livello sanitario. Le differenze tra le Regioni si sono viste in modo evidente, basti pensare ai sistemi di gestione informatica delle vaccinazioni. Non faccio classifiche, abbiamo eccellenze e criticità. Ma è necessario fare una riflessione di questo tipo in vari settori, direi sul sistema Paese».
Che contributo possono dare alla campagna farmacie e medici di base? Finora, al di là degli annunci, è stato quasi nullo: da che dipende?
«Hanno funzionato a macchia di leopardo, in parte per la scarsità delle forniture dei vaccini, in parte per una certa timidezza dei medici, ma credo che il loro coinvolgimento crescerà col tempo, anche su spinta dei cittadini. In questa fase stiamo ricorrendo a strutture straordinarie, come gli hub, ma, una volta tornati all’ordinarietà, dovremo puntare su queste realtà per recuperare la normale organizzazione delle vaccinazioni».
La normalità nella nostra vita di tutti i giorni è a portata di mano, con l’estate saremo fuori dal tunnel?
«Non fisso tempi precisi. Preferisco sottolineare che i morti stanno calando e gli ospedali non sono più sotto pressione, il contagio diminuisce e il virus attecchisce meno. Dobbiamo procedere gradualmente, seguendo gli obiettivi: ora bisogna proteggere i sessantenni, chiudiamo al più presto la loro vaccinazione. La nostra sarà, comunque, una normalità diversa, di convivenza con il rischio e con una serie di attenzioni da mantenere».
Le mascherine? Il premier Draghi dice che fra un paio di mesi potremmo toglierle…
«Vedremo, anche lì servirà gradualità, credo potremo seguire l’esempio della Gran Bretagna. Al di là della mascherina, anche se in autunno saremo fuori dal tunnel, i comportamenti dei singoli resteranno fondamentali».
Dopo quasi un mese di riaperture, i numeri sono positivi. Ha ragione Salvini a dire che c’è stata troppa prudenza?
«La cautela è necessaria, anche l’anno scorso avevamo deciso una riapertura importante e poi abbiamo dovuto richiudere. Ora è diverso, perché abbiamo i vaccini, e possiamo bilanciare i dati scientifici con le esigenze economiche».
Lei è ingegnere e guida un dipartimento tecnico: quanto disturbano le polemiche e le liti della politica?
«Francamente abbastanza poco. Le nostre scelte sono sempre basate su dati scientifici, seguiamo un piano e ognuno fa il suo mestiere: da palazzo Chigi arrivano indicazioni chiare e obiettivi precisi. E anche con il ministro Speranza siamo ben allineati, spesso facciamo riunioni a tre con Figliuolo».
È vero che la prima e l’ultima telefonata della sua giornata sono per il generale?
«Sì, è così, tipico di chi vive attività operative con impegno e lealtà. Noi ci confrontiamo quotidianamente e la squadra funziona».
Non ha avuto dubbi ad accettare l’incarico, quando Draghi l’ha chiamata?
«Non potevo dire di no di fronte alla situazione che vive il Paese, mi ha spinto l’amore per la Protezione civile. Io sono un pesce di questo acquario, questo so fare».
Agli italiani, invece, cosa si sente di dire?
«Dico di guardare al futuro con grande positività. Spesso perdiamo la memoria su tutto: un anno fa non avevamo vaccini e nemmeno contezza di come questo virus si muovesse e diffondesse. Oggi abbiamo molta più consapevolezza e la possibilità di tornare a una nuova normalità». —