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 2021  maggio 22 Sabato calendario

Il Brasile svende l’Amazzonia

Il Tribunale supremo del Brasile ha aperto un’inchiesta per un presunto traffico illecito di legna della foresta amazzonica verso l’Europa e gli Stati Uniti. Al centro, Ricardo Salles, il ministro brasiliano dell’Ambiente, numero due del governo di Jair Bolsonaro.
Lo scandalo travolge il presidente brasiliano, che deve già rendere conto davanti ad una commissione d’inchiesta per la pessima gestione dell’epidemia di Covid-19, mentre i quattro figli, e stretti collaboratori, sono a loro volta al centro di diverse indagini per corruzione passiva o ancora traffico di influenza.
Salles, 45 anni, al governo dal gennaio 2019, ministro dell’Ambiente ma criticato da subito per la sua incompetenza nel settore, condivide con Bolsonaro lo stesso scetticismo sulla tutela del clima. È il fedele esecutore della politica ambientalista del presidente. Da quando è al governo, ha abbassato del 70% le multe per le infrazioni ambientali e incoraggiato l’agricoltura e l’estrazione mineraria in Amazzonia. Conseguenza: tra agosto 2019 e luglio 2020 la deforestazione è esplosa del 9,5% rispetto ai dodici mesi precedenti. Lo scorso anno, in piena epidemia, il ministro, durante una riunione a porte chiuse, ha consigliato a Bolsonaro di approfittare del fatto che media e opinione pubblica fossero focalizzati sulla pandemia, per modificare le leggi ambientali, alleggerendo le misure di difesa della foresta. Non sapeva che la riunione fosse registrata. Un video è stato diffuso e le sue parole sono diventate di pubblico dominio. Ancora di recente Salles ha tagliato di un quarto il budget del suo ministero.
Il mese scorso ha licenziato Alexander Saraiva, delegato della polizia federale brasiliana, che lo accusava di favorire il traffico di legname. L’ultimo episodio riguarda proprio la legna: il 19 maggio, il Tribunale supremo ha spiccato 35 mandati di perquisizione. La polizia ha fatto irruzione nella casa di Salles e nei suoi uffici di Brasilia, sequestrando computer e cellulari, oltre che negli uffici di decine di alti funzionari, a San Paolo e Para. Tra loro anche Eduardo Bim, presidente dell’Ibama, l’Istituto brasiliano dell’ambiente. L’intervento ha mobilitato 160 poliziotti. Salles e i suoi collaboratori sono sospettati di corruzione e appropriazione indebita per aver messo su un vasto traffico illegale di legname destinato all’esportazione. Il giudice Alexandre de Moraes è stato attirato “da movimenti finanziari anomali” sul conto bancario del ministro. Il sequestro di tre container di legname illegale in Florida sarebbe stato all’origine dell’inchiesta.
Greenpeace ha chiesto le dimissioni del ministro: “È necessario che Salles venga immediatamente rimosso dall’incarico, anche se questo non è sufficiente per superare tutti i problemi creati dalla politica anti-ambientale del governo”, ha detto Tais Bannwart, portavoce della Ong. Anche una parte della classe politica brasiliana ne chiede le dimissioni. Ma per ora il ministro resta attaccato alla sua poltrona, per quanto traballante. Ha detto che le accuse contro di lui “non hanno senso”, e ha anche definito il blitz della polizia “esagerato e superfluo”. Bolsonaro, come ha già fatto altre volte, ha confermato il suo sostegno al fedelissimo: “È un eccellente ministro”, ha detto giovedì intervenendo in diretta alla tv.
Finora “malgrado le pressioni – analizza il giornale francese online Mediapart – Bolsonaro ha mantenuto la sua politica anti-ecologica. A maggio, è stata votata una legge che, in diversi casi, potrebbe mettere fine alla necessità degli studi di impatto ambientale e il governo cerca di legalizzare le terre occupate illegalmente e vuole autorizzare la ricerca dell’oro nei territori autoctoni”. Questo scandalo però è un nuovo “colpo duro” per lui, e anche per la sua immagine internazionale.
Dopo aver perso l’alleato Donald Trump, il presidente brasiliano si ritrova sempre più isolato e fa basso profilo in materia ambientale, tanto da aver promesso di recente, in vista dell’ultimo summit sul clima, di mettere fine alla deforestazione illegale dell’Amazzonia entro il 2030 e rinunciando a lasciare l’accordo sul clima di Parigi. “Il momento è particolarmente delicato per il Brasile – scrive ancora Mediapart – che spera di approfittare del sostegno degli Stati Uniti per integrare l’Ocse, mentre gli europei tardano a ratificare l’accordo Ue-Mercosur, annunciato due anni fa”.