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 2021  maggio 22 Sabato calendario

Tremonti e la riforma fiscale

«Letta? La sua proposta sulle tasse di successione mi pare un po’ strumentale. Ma anche la risposta che gli ha dato Draghi la trovo curiosa, perché una riforma come quella del fisco non si può fare senza il Parlamento e senza i partiti», sostiene l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti.Professore, il segretario Pd ha proposto di tornare a tassare le eredità sopra i 5 milioni di euro per fornire una dote ai giovani. Che ne pensa?«Che in materia di tassazione progressiva o patrimoniale non c’è limite alle ipotesi, questo è il campo dell’esercizio delle tesi più diverse: paradigmatico il dibattito alla Comune di Parigi dove i progressisti chiedevano una tassazione progressiva, mentre stando a Marx la proprietà non va tassata ma va eliminata».Lei da ministro questa tassa l’ha azzerata.«Fu eliminata nel 2001 e poi fu reintrodotta sotto altra forma dal governo Prodi nel 2006, dove mi pare Letta avesse un ruolo».Sottosegretario alla Presidenza.«Ecco. A me quello introdotto nel 2006 sembra un regime di imposta equilibrato, definito su parametri accettabili, tanto che nel 2008, quando Berlusconi è tornato al governo, poi l’ha lasciata com’era».Però da noi il gettito, rispetto a paesi come Francia, Germania o Regno Unito, è infinitamente più basso. Lo squilibrio è evidente a tutti.«Intanto bisogna vedere come si fanno i calcoli e poi i sistemi fiscali sono diversi. Ad esempio da noi c’è l’Imu che è una imposta patrimoniale permanente. E comunque da nessuna parte, sia come gettito che come aliquote (che poi magari vengono aggirate), questa è la regina delle imposte. In ogni caso i temi fiscali vanno poi valutati nel loro insieme».Quindi dà ragione a Draghi quando dice di voler aspettare la riforma legata al Pnrr?«I sistemi fiscali sono la base della democrazia, non solo storicamente, e non a caso si dice “no taxation without representation. Il sistema fiscale, quale che sia, organico o meno, deve comunque passare dal Parlamento».E cosa andrebbe fatto?«Come prima cosa deve passare da una maggioranza parlamentare. Più è ampia e meglio è. Secondo: la riforma è un cambiamento strutturale di sistema. Chi parla solo di spostare una aliquota sulla curva fa una manovra, non fa una riforma – che invece presuppone una sistematicità di interventi -. Come quella fatta da Vanoni nel dopoguerra, o quella degli Anni 70 che introdusse l’Iva. Io ho tentato alcune riforme, ma erano sempre tutte organiche».È sempre dell’idea che si debba andare a poche tasse, un codice unico e sole due aliquote Irpef, 22 e 33%?«Io nel 1994 proposi una riforma per me rivoluzionaria, e che oggi guardano ancora tutti, incentrata su tre concetti: “dal centro alla periferia”, perché il nostro sistema allora era tutto nazionale; “dalle persone alle cose”, la vera novità che teneva conto del passaggio alla società dei consumi e consentiva di introdurre tasse non necessariamente sulla persona ma sui consumi e sulle cose. E poi dicevo “dal complesso al semplice”, pensando a testi unici non come assemblaggio di norme vigenti ma codici veri e propri, come formulazione di principi. Oggi, oltre a questo, occorre tener presente che lo scenario è diventato inevitabilmente internazionale, c’è la proposta di Biden di minimum tax globale, giusta o sbagliata che sia, i lavori dell’Ocse, l’ultimo documento dell’Unione europea, e oramai è difficile fare una riforma in un solo Paese».A proposito di Irpef si è parlato dell’algoritmo tedesco ad aliquota progressiva. Al Pd piace tanto, lei che ne pensa?«Francamente? Io nemmeno lo capisco».Dicono sia semplicissimo.«Immagino, però esiste solo in Germania e in Israele».Son stati evocati i tecnici: lei è disponibile a far parte della commissione del governo?«Ma non la faranno. Draghi ha detto di no».Il premier ha detto che farà una legge delega, e poi toccherà alla commissione di esperti a definire le misure.«Ma essendo la Costituzione ancora vigente, la legge delega contiene principi. E non la fanno né i tecnici né il governo, la fa il Parlamento. E i tecnici, al massimo, possono dare un supporto tecnico. Detto questo una riforma del genere non si fa senza i partiti, perché servono i voti. E se poi in Parlamento i numeri non li hai vai a casa e si torna a votare». —