Corriere della Sera, 21 maggio 2021
Gli ottant’anni di Bob Dylan
Ruvido com’è, sin da quando era ragazzino, ce lo immaginiamo infastidito da auguri e celebrazioni. Bob Dylan, il sommo poeta della canzone (e non solo visto che ha ricevuto il Nobel per la letteratura) compie 80 anni lunedì. Le celebrazioni ci saranno comunque. La prima domani con l’amica Patti Smith e Tony Shanahan a Tivoli, stato di New York. Impossibile condensare Dylan in una playlist, ma per sostenere eventuali conversazioni con amici, ecco 10 brani imprescindibili.
When I Got TroubleLa prima canzone certificata (da «No Direction Home», il docu di Scorsese). In rete ne girano di antecedenti, ma manca il test del dna. Un blues sempliciotto e suonato anche malino. Non è ancora Bob Dylan, è soltanto Robert Zimmerman. (1959)
Blowin’ in the WindEsce sul secondo album, «The Freewheelin’ Bob Dylan»: segue la lezione del folk impegnato di Woody Guthrie e Pete Seeger: domande scomode sulla guerra, sulle ingiustizie e sull’indifferenza di chi si volta dall’altra parte per non vederle. La risposta? È nel vento. (1962)
The Times The Are a-Changin’Avere lo zeitgeist, il senso del tempo. Bob è immerso nel momento storico, quello del movimento per i diritti civili che anticiperà la rivoluzione del Sessantotto. Chiama a raccolta tutti e invita genitori, politici, intellettuali a non ostacolare il cambiamento che sta per arrivare. (1964)
Like a Rolling StoneIn 6 minuti (altro che i 3 del pop-radiofonico) la trasformazione da menestrello folk a rockstar. E chissene dei buu al festival di Newport del 1965 in cui tradì l’ortodossia acustica arrivò sul palco con la strumentazione elettrica. La voce tagliente, il ritratto feroce e sprezzante della caduta in disgrazia di una ragazza di quella high society che non gli andava giù. «How Does It Feel?», nessuno vorrebbe sentirselo dire in quel modo. La canzone più bella della storia della musica secondo Rolling Stone, la più ascoltata fra quelle di Dylan su Spotify con 220 milioni di stream. (1965)
All Along the WatchtowerÈ quella che Dylan ha suonato più dal vivo: 2270 esecuzioni. Un dialogo fra un giullare e un ladro, visioni apocalittiche e allegoriche, il riferimento biblico al libro del profeta Isaia. Tanto forte da ispirare anche uno che agli antipodi come Hendrix che ne fece una cover, più famosa. (1967)
Knockin’ on Heaven’s DoorLa canzone accompagna la drammatica scena dello sceriffo agonizzante sulla riva di un fiume in Pat Garrett & Billy the Kid di Peckinpah. Una ballad rivitalizzata nell’87 dai Guns N’ Roses. (1973)
Tangled up in Blue«Blood on the Tracks» è il break-up album, il disco sulla fine dell’amore con la prima moglie Sara. Senza seguire la linea cronologica, questo brano racconta una storia di coppia, da prima che i due si conoscessero all’addio. E chissà se è Dante il poeta italiano del XIII secolo di cui lei passa a lui un libro. (1975)
HurricaneL’avvocato Dylan difende Rubin «Hurricane» Carter, pugile afroamericano accusato ingiustamente di omicidio e condannato 10 anni prima. Lo incontra in carcere e organizza concerti per raccogliere fondi. Nell’88 Carter viene prosciolto. (1976)
Love SickE quando tutti davano per finita la carriera discografica di Dylan dopo i traballanti 80 e i disastrosi 90, con «Time Out of Mind» torna l’ispirazione: atmosfere cupe, riflessioni blues sull’amore e l’età che avanza. «Love Sick» scatenerà gli hater nel 2004 al grido di «venduto»: non solo la musica (era già capitato), ma anche la faccia di Bob in uno spot. Era la campagna di Victoria’s Secret girata a Venezia. (1997)
I Contain Multitudes«Le canzoni sono fatte per essere cantate e non lette», ha detto nella lecture per il Nobel. Ma noi non lo ascoltiamo. L’ultimo album, «Rough and Rowdy Ways», tocca vertici lirici che potrebbero fare a meno del blues acustico che la band gli costruisce attorno. Il titolo, ripreso da Walt Whitman, è l’autodefinizione perfetta: dentro Dylan non c’è solo Dylan (o Robert Zimmerman). C’è tutto. Ci sono tutti. Ci siamo tutti. (2020)