la Repubblica, 21 maggio 2021
Dpo la pandemia, i nuovi Anni ruggenti
Nei giorni in cui Parigi si sveglia da un lungo letargo, con cinema pieni, teatri già esauriti, giovani che riempiono i tavolini dei café en terrasse, la Bibliothèque nationale rende omaggio al surrealismo, una petizione per far entrare Joséphine Baker al Panthéon raccoglie migliaia di firme e in libreria arriva LesAnnéesfolles dellastoricaMyriam Juan. Dopo l’anno della Grande Paura, la Francia sogna un’esplosione sociale e artistica come fu dopo l’ecatombe della Prima guerra mondiale e dell’influenza spagnola, giusto un secolo fa. «C’era un desiderio di vivere pienamente il presente, di fare tabula rasa, voltarelespalleaunpassatotraumatico», racconta Juan rievocando quegli anni ruggenti, il decennio dell’Art décoe del jazz,di CocoChanel e Walt Disney, del Grande Gatsby. «I giovani d’oggi – diceva Fitzgerald – non credono più alle vecchie regole. Vanno alla deriva con la corrente». Il movimento dadaista si scagliava contro la borghesia, mentre emergeva la classe media, la fantasia andava al potere con il surrealismo e André Breton scriveva: «Cara immaginazione, ciò chepiùamointeèchenonperdoni».
«È stato un decennio di speranza, creazione e libertà. La vita correva», spiegaJuan,ricordandocheilcrononimo, il nome dato a quel periodo storico, è venuto più tardi. Solo alla fine degli anni Sessanta, quando si apriva un’altra fase di emancipazione, si è cominciato a parlare di Années folles in un eterno gioco di specchi. Anche se non crede al ripetersi della Storia, tanto più che non abbiamo alle spalle le trincee della Grande guerra e i milioni di morti della spagnola, l’autrice del breve saggio storico, pubblicato nella collezione Que sais-je?, è convinta che qualcosa di quel fervore soffi nell’ air du temps.
Eral’iniziodell’emancipazionefemminile, le donne più audaci fumavano inpubblico,buttavanoicorsetti,indossavano pantaloni,accorciavanolegonne mostrando le ginocchia. La garçonne potrebbe essere la neofemminista radicale di oggi. Il genere fluido diventava un’evidenza, gli artisti omosessuali non si nascondevano più. Nelle brasserie di Montparnasse si incrociavano Modigliani e Chagall, i giovani ballavano il charleston, Baker faceva scandalo in topless nella Revue Nègre, con un erotismo burlesque. Parigi era una festa, come scriveva Ernest Hemingway, brillava di mille luci al punto da essere diventata “l’ombelico del mondo” secondo Henry Miller. E anche se solo un’élite poteva permettersi bagnidichampagneinunhotelparigino dopounospettacoloalMoulinRouge, le avanguardie infondevano tutta lasocietà.Èallorachelaculturadimassa comincia aprendere forma.
Difficile avvistare i movimenti e gli artisti che segneranno i nuovi anni Venti. Guy Boyer, direttore della rivista ConnaissancedesArts, chehaavuto un’audience online triplicata durante il lockdown, intercetta un forte bisogno di cultura e un “nuovo impegno” tra gli artisti. «Si interessano al sociale, all’ambiente,almondo digitale»,sottolinea Boyer. Complice una nuova sensibilità ecologica, perderà del fascino la frenesia di organizzare fiere ai quattro angolidelPianeta.Ilmondopotrebbe restare più piccolo anche dopo la pandemia. «Si torna alle radici, al territorio», continua Boyer.
La neofrugalità spinge i conservatori deimuseiadomandarsiseèdavvero indispensabile far viaggiare un dipinto dagli Stati Uniti per una mostra, o se non ce n’è uno equivalente più vicino. Qualcosaresterà dell’esperienzadigallerie che hanno inventato una nuova offerta culturale, così come degli spettacoli teatrali en plein air.
«Nonsitornamaiindietro,aunsecolo di distanza il paragone che si può fare è limitato»,avverte la storica Emmanuelle Loyer. «Parlare di quegli anni è più che altro un modo di illuminare il presente», aggiunge citando l’idea di un’accelerazione che chiude un’epoca mentresicercaunanuovamodernità. «Velocità era la parola chiave allora come oggi», osserva Loyer che cita su quel periodo il libro di Paul Morand, L’homme pressé, l’uomo che va di fretta. Il fermento culturale era accompagnato dalboomeconomico,dainnovazioni tecnologiche e scientifiche diffuse su larga scala, dall’automobile all’aviazione, ai progressi della medicina, come adesso corrono la smaterializzazione del lavoro, l’intelligenza artificiale, le biotecnologie chehanno permesso di sviluppare un nuovo vaccino in pochi mesi, e poi la fine del petrolio, il fulminante successo di Tesla e tutto quello che accompagnerà la transizione ecologica.
Ilneurologo Erwan Devezeintercetta la rapidità del passaggio da una fase di depressione a quella di esaltazione, tipico di ogni crisi. «Dopo un anno ansiogeno, soffia una ventata di ottimismo, in particolare tra i giovani», dice Deveze citando recenti sondaggi. L’esaltazione portaaunorizzontedeipossibili, in cui il sessanta per cento dei francesivorrebbecambiarevita,incerca diunnuovosenso.Albisognodiprotezione davanti alla minaccia sanitaria, potrebbe seguire il desiderio di trasgredire, il gusto del rischio. Ma la follia di quegli anni può essere letta in un doppio significato. Negli Stati Uniti i Roaring Twenties furono anche gli anni del proibizionismo, del Ku Klux Klan, della speculazione a Wall Street che portò al crac del 1929.
I magnifici Venti precipitarono nell’abisso della Grande Depressione. In Germania gli “Anni dorati” sono stati seguiti dall’ascesa del nazismo. «C’era anchesottotracciaunafolliamorbosa che ha prodotto catastrofi economiche e politiche, com’è successo all’Italia prima degli altri», nota Juan. La Francia che scalpita nelle riaperture di questi giorni è anche quella che vede l’estremadestragaloppareneisondaggi. «Non dimentichiamo – prosegue la storica – che in quel decennio di progressismo e liberazione c’erano anche pulsioni reazionarie». Le donne liberate erano chiamate a fare figli per ripopolare le nazioni, le diseguaglianze sociali e il razzismo contro le minoranze aumentavano.
Nel suo nuovo saggio La révolution qu’on attendait est arrivée, la rivoluzione che aspettavamo è arrivata, il sociologo Jean Viard indica un bivio. «Non c’è mai stato un momento nella storia dell’umanità in cui, facendo un’estrema sintesi, cinque miliardi di persone si sono chiuse in casa per salvare i più anziani, ovvero la categoria improduttiva acuiresta pocodavivere. Èmagnifico, si è realizzata una forma di utopia». La sfida, prosegue Viard, è costruire qualcosa di nuovo intorno a questocapovolgimentodiprioritàevalori. «Se accoglieremo la trasformazione allora si aprirà uno straordinario ciclo diprogressi socialie politici, in caso contrario è prevedibile un terribile contraccolpo».Comeaccaddeunsecolo fa.