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 2021  maggio 21 Venerdì calendario

L’anniversario della strage Capaci


A rievocare i boati di Capaci e via D’Amelio quest’anno scenderanno da molto lontano i cani di Velasco Vitali, che sono perfettamente antiretorici e niente affatto hegeliani, visto che sono fabbricati in ferro, lamiera, cemento. Contengono il mistero del mondo naturale che ci respira accanto e insieme lo stupore di noi che lo guardiamo. Ci mostreranno la loro connaturata innocenza di animali fratelli, animali randagi, nel luogo in cui si celebra il rito della legge che giudica la meno nobile tra le specialità umane, il Male. Che sotto ai tormentati cieli di Sicilia si è compiuto in una delle sue forme più complesse, quella del crimine organizzato che sottomette un intero territorio, imprigiona, ricatta, uccide. Per poi diventare, sul palcoscenico del tribunale, il teatro sempre tragico del processo, dove la bilancia imparziale della legge deve, o dovrebbe, pesare i fatti, le responsabilità, trasformarle in sentenza. E dunque avviare l’unico risarcimento sociale possibile alla ferita delle vittime, alla colpa dei colpevoli.
Entreranno in 54 nei 1.300 metri quadrati dell’aula bunker di Palermo dove si celebrò quel famoso Maxiprocesso alla mafia, che tanti anni prima Falcone e Borsellino avevano costruito, parola per parola, in un racconto mai concluso da allora. Diventato altro sangue, altre crudeltà in una concatenazione infernale di eventi e misteri non più solo giudiziari, politici, criminali, che sono la nostra storia depositata in quella sequenza di morti ammazzati, confessioni, depistaggi e carte processuali, ma molto al di là e molto di più, visto che riguardano per intero i labirinti della natura umana, che è poi la autentica materia dell’arte quando è arte. A cominciare dall’eterno conflitto tra il male e il bene, il giusto e l’ingiusto, sul quale abbiamo fabbricato le ferite del mondo e insieme i suoi rimedi. Compresi gli uomini che al danno della mafia – ai suoi veleni che piegano gli individui alla sottomissione collettiva – hanno deciso di opporsi con tutto quello che avevano, inclusa la vita.
Velasco Vitali, 60 anni, è un formidabile artista. Disegna paesaggi e volti estraendo da ogni inquadratura un segreto e una luce che ci sorprendono. Allo stesso modo, da anni, nella sua officina affacciata sulla risacca del Lago di Como, fabbrica cani di metallo e pietra, a grandezza naturale, imperfetti, arrugginiti, allegri, qualche volta perplessi, che senza muoversi, muovono il nostro sguardo, ci mettono in una attesa che è complementare alla loro, pronti come sono al balzo, alla corsa, oppure distratti da qualcosa che li fa voltare, mettendoli in allarme. Sempre imprevedibili. Insondabili. Capaci come sono di spaventarci. E insieme di esserci fedeli.
L’idea di trasformarli negli intrusi metallici di quell’aula vuota – venuta alla Fondazione Falcone, perfezionata dal curatore Alessandro De Lisi, intitolata “Spazi Capaci” – è talmente spiazzante da rievocare all’istante tutto quello che lì dentro accadde: “il più grande processo mai celebrato al mondo”, come si scrisse allora, anno 1986. Dove dentro a quella formidabile geometria a pianta ottagonale, tra i legni della corte e le sbarre delle gabbie, transitò un pezzo della nostra migliore storia giudiziaria a riscatto della peggiore che per decenni mandava assolti gli uomini delle cosche.
Non quella volta, non in quell’aula battezzata bunker: 475 imputati, 200 avvocati, 1314 testimoni. Milioni di carte, milioni di parole. Diventate, a consuntivo, 19 ergastoli e 2600 anni di carcere, sette anni dopo, con la conferma definitiva della Cassazione che decapitando per la prima volta Cosa nostra, la indusse alla vendetta dei Corleonesi di Totò Riina, al tritolo che brillò negli anni delle stragi.
Non c’è ferocia in quei cani convocati dall’arte e dall’artista. Non sono loro il male. Anzi. Sparpagliandosi prima nell’aula, e nei prossimi tre mesi nel parcheggio che la precede, diventeranno i testimoni di quello che solo gli uomini hanno compiuto, cancellando vite di altri uomini. Sono venuti a presidiarne la memoria.
Domenica prossima verrà lo Stato a inaugurare la loro presenza. Verrà il presidente Sergio Mattarella a rievocare quel 23 maggio 1992 che ancora – per colpa anche dello Stato – non si è concluso. E affinché questo ventinovesimo anniversario non finisca nell’archivio sempre strapieno delle celebrazioni celibi, ci saranno loro a fare la guardia. Ci sarà il loro silenzio di statue a rendere più clamoroso, più intollerabile, quello degli uomini.