Corriere della Sera, 20 maggio 2021
Il ritorno nerazzurro al tricolore
Pubblichiamo uno stralcio dal capitolo dedicato da Severgnini ai ritratti dei calciatori del 19° scudetto
Guardate Handanovic e poi i portieri ventenni: la differenza salta all’occhio. Non è una questione d’età. Handanovic è un soldato dell’area piccola, a cominciare dalla pettinatura e dall’assenza di tatuaggi visibili. Sembra un anacronismo, un personaggio sbucato da un vecchio album di figurine. Ma è attualissimo, e ha portato la squadra a vincere lo scudetto. Samir crescerà un sostituto, e poi uscirà di scena. I soldati sanno quando lasciare prima di essere colpiti dai cecchini dell’ingratitudine.
Il ragazzo è un paradosso, a cominciare dal nome di battesimo dal sapore vagamente rossonero. Ma è un paradosso vincente: da quando è tornato titolare, l’Inter ha smesso di prendere gol inutili. Sembra impacciato, Škriniar. Non è così: è diversamente agile. C’è un movimento che è diventato il suo marchio: allungare una gamba e spostare la palla all’avversario. Non si capisce come ci riesca, anche contro giocatori più piccoli e agili di lui. Il suo lungo piede è una calamita che sente ferro. La palla si sposta, e lui sorride.
Il ministro della Difesa, l’hanno definito. Quello che vede e dirige. Alto e robusto, come i compagni di reparto. Nel tempo libero, suona il pianoforte. Viene dalla Lazio ed è sempre stato titolare. Avrebbe potuto giocare altrettanto bene nel Chelsea o nel Bayern Monaco. Non ci pensi sempre, ogni tanto non lo vedi: ma c’è.
Bastonbauer! Inter-Juventus, 17 gennaio 2021, la partita-chiave della stagione. Il lancio di sessantun metri con cui Alessandro Bastoni, al 52’, ha mandato in porta Barella sembra uscire da un ricordo. Franz Beckenbauer, maglia bianca della Germania, uno che lanciava traccianti e giocava sempre a testa alta. Conte può essere orgoglioso. Non soltanto, uomo umorale, è riuscito a proteggere l’Inter dai propri umori, ma ha lanciato un ragazzo così.
Hakimi corre. Soggetto, verbo intransitivo. La corsa del giovane marocchino nato a Madrid non ha bisogno di un complemento oggetto. Certo, Hakimi rincorre un pallone, offre un assist, esegue un cross, effettua un tiro. Ma tutto è una conseguenza della corsa, che è spettacolare. Un centometrista pettinato che sembra uscire da un filmato di una vecchia Olimpiade.
Conte, un umorale, è riuscito a proteggere l’Inter dai propri umori
Un giovanissimo centrocampista, 172 centimetri di statura, nato in un’isola, proveniente da una squadra arrivata quindicesima. Non era il viatico migliore per l’Inter, disabituata a valorizzare talenti nazionali. Ma Conte ha capito che quel ragazzo sarebbe potuto diventare il motorino d’avviamento del centrocampo. Aveva solo un difetto: l’impeto, e il carattere, lo portavano a protestare, e ogni tanto a reagire. Sistemato anche quello. Barella piace a molti club europei e verrà tentato. Non cedere, Nicolò: un giorno sarai il capitano dell’Inter.
Brozo allarga le braccia, Brozo scuote la testa, Brozo alza gli occhi al cielo: Brozo è uno spettacolo nello spettacolo. Sembra sempre scocciato, sul punto di uscire dal campo e andarsene in tribuna a giocare col telefono. Ma è il suo modo di concentrarsi. Ha detto Antonio Conte, ridendo di cuore: «Brozo è un ragazzo eccezionale, veramente simpatico, magari da fuori non sembra. È il beniamino della squadra, per il suo modo di essere. Ah, entrare nella testa di Brozovic...».
Vederlo in panchina, nordicamente silenzioso, era un dispiacere. Sembrava uno spreco. I tifosi non pagano gli ingaggi, ma rinunciare al talento è doloroso. Poi, a metà campionato, è successo qualcosa: nella sua testa, in quella dell’allenatore, forse in tutt’e due. Eriksen s’è svegliato con uno spettacolare gol su punizione in Coppa Italia – contro il Milan, ottima scelta – e non è più caduto in quel letargo che sapeva di rinuncia.
Vicecampione del mondo con la Croazia nel 2018, campione d’Europa con il Bayern nel 2020: Perišic non dovrebbe essere in discussione. Invece lo è stato spesso. Che cosa è accaduto all’inizio del 2021? Semplice: Perišic, 32 anni, ha capito di essere a una svolta. Avrebbe dovuto adattarsi. Conte pretende che gli esterni coprano tutta la fascia. Qualcosa del genere era accaduto a Eto’o, anni prima. Quando l’abbiamo visto giocare terzino contro il Chelsea e il Barcellona, abbiamo capito: l’Inter sarebbe arrivata lontano.
Lukaku è il bisonte, un essere sontuoso, e pretende rispetto: chiaro Ibra?
Quando il giovane Steven Zhang – nel 2018, arrivato da poco a Milano da neopresidente – mi ha domandato a quale giocatore dell’Inter non avrei mai voluto rinunciare, sono rimasto sorpreso: di solito chi paga spiega, non chiede. Superato lo stupore, ho risposto senza esitazioni: Lautaro. Era il classico giocatore che avremmo intravisto, ceduto e rimpianto a vita. Non è successo: Lautaro è qui, e lotta per noi. Non è Milito e neppure Icardi. È un Boninsegna del XXI secolo: stessa grinta, stessa forza, stesso occhio. La sua pettinatura pare uscire da un fotoromanzo, i suoi occhi da una periferia. Lo vogliono tutti, ma rimarrà con noi.
Ha fatto male un campione come Zlatan Ibrahimovic a offendere Romelu Lukaku durante il derby del 26 gennaio 2021. È sembrato arrogante: uno di quei dirigenti d’azienda milanesi che sentono la pensione avvicinarsi, e allora alzano la voce. Lukaku si è arrabbiato, ma ha reagito con calma, e col tempo: l’Inter ha vinto, anche grazie a lui, il Milan ha perso, anche perché Ibra ha cominciato a distrarsi. Lukaku è un giocatore di calcio, ancora giovane, con un grande fisico e una bella testa. Conte l’ha voluto perché sapeva cosa farne: il pivot, il centroboa, il perno intorno al quale la squadra ruota. Se Lautaro è il Toro, Lukaku è il Bisonte. Un essere sontuoso, che pretende rispetto. Chiaro, Ibra?