Corriere della Sera, 20 maggio 2021
A Milano la prima condanna per «Blue whale»
All’inizio era solo un fenomeno mediatico ingigantito a dismisura dal tam tam sui social network, poi il «Blue whale challenge», l’assurdo gioco di ruolo in cui dei ragazzini devono cimentarsi in 50 prove di coraggio in un crescendo di atti autolesionisti che potrebbero portare addirittura al suicidio, è diventata una tragica realtà. Ora arriva a Milano la prima condanna di un «curatore», il misterioso ed enigmatico personaggio che si arroga il diritto di ordinare le prove e di infliggere le punizioni a chi non riesce a superarle: un anno e mezzo di carcere per atti persecutori e violenza privata aggravati.
A metà del 2017 l’allarme «Blue whale» si diffuse rapidamente tra i genitori anche di ragazzi in età preadolescenziale. Più che di un pericolo reale, in quel momento si trattava di un fenomeno gonfiato da alcuni media e poi dalla Rete. Furono centinaia gli esposti che arrivarono alla Procura di Milano da insegnanti o genitori che segnalavano presunti casi di «Blue Whale», molti dei quali poi si rivelarono inconsistenti. Paradossalmente, fu proprio questo clamore a dare il via ad alcuni episodi di emulazione che trasformarono in realtà ciò che fino ad allora era stato solo un caso mediatico.
Come nel caso di una giovane milanese, oggi 25 enne, con già qualche serio problema di disagio. Riuscì ad entrare in contatto via internet con una ragazzina di 12 anni di Palermo arrivando a convincerla a mandarle foto e farsi tagli sulle braccia. A scoprire e a denunciare alla Polizia postale la pericolosa e malata relazione che si era creata tra le due fu l’inchiesta di una giornalista che, fingendosi minorenne, era riuscita via social ad entrare in contatto con la ragazzina palermitana scoprendo che questa partecipava alla sfida e dicendole che anche lei voleva entrare nel «Blue whale challenge». L’inchiesta giudiziaria avviata dal pm milanese Cristian Barilli scoprì che, tra il maggio e il giugno del 2017, la ragazza milanese aveva contattato la vittima attraverso Instagram e Facebook con la complicità di un 16enne di origini russe.
L’aveva convinta di essere, appunto, un «curatore» del gioco ordinandole cosa fare: «Se sei pronta a diventare una balena inciditi “yes” sulla gamba, se non lo sei tagliati molte volte per auto punirti». E quando la ragazzina era titubante, ecco che arrivavano le minacce e le intimidazioni. Le diceva che sapeva dove abitava, conosceva l’indirizzo Ip del suo pc, quindi era in grado di trovarla e di ucciderla se si fosse rifiutata di continuare a sottoporsi alle prove.
Ieri, al termine di un processo durato due anni, il giudice monocratico della nona sezione penale del Tribunale Angela Martone ha condannato la giovane milanese concedendole le attenuanti generiche e la sospensione condizionale della pena.