Corriere della Sera, 20 maggio 2021
Al mondo sono state fatte un miliardo e mezzo di iniezioni. Il 60 per cento in Cina, Usa e India. Undici i Paesi, per lo più africani, a zero immunizzati
Le prime approvazioni ai vaccini anti-Covid – Sputnik V in Russia, Pfizer-BioNTech in Regno Unito – sono arrivate ai primi di dicembre: da allora sono passati sei mesi e in queste ore si è superata la quota (anche) simbolica di un miliardo e mezzo di dosi somministrate, in 210 Paesi mentre ancora 11 non hanno avviato la campagna vaccinale. A martedì sera i contatori che sommano le cifre comunicate giornalmente dagli istituti di salute pubblica di tutto il mondo segnavano 1.500.017.337 dosi; il progresso ora è di 25 milioni di dosi al giorno, un passo sempre più spedito se si pensa che al giro di boa di 500 milioni di dosi si era arrivati in 4 mesi.
La distribuzione non è omogenea. Il 60% delle dosi finora sono state iniettate in tre Paesi: in Cina 421,9 milioni, Usa 274,4 milioni, e India 184,4 milioni. Una sproporzione collegata alla popolazione ma anche alla «nazionalità» delle formule: la Cina ne ha battezzate due, Sinopharm e Sinovac, americana (in partnership con la tedesca BioNTech) è la formula Pfizer, e in India, oltre al Covaxin, gli stabilimenti di aziende farmaceutiche come Bharat Biotech sfornano anche il 60% delle dosi mondiali, soprattutto della formula anglo-svedese AstraZeneca.
Il dato più significativo, tuttavia, è la percentuale della popolazione che ha ricevuto almeno la prima: è in base a questa cifra – che in Italia è del 32,4% – che in quasi ogni Paese vengono decise le misure di salute pubblica e le eventuali riaperture.
Gli ostacoli
Accesso disomogeneo alle dosi e resistenza a vaccinarsi rallentano
l’immunità di gregge
Eppure un’occhiata ai dati basta a mostrare che la percentuale di vaccinati, in sé, non è un salvacondotto per il ritorno alla vita normale: due Paesi tra i meglio piazzati in classifica, l’Ungheria dove il 49,5% dei cittadini ha ricevuto almeno una dose, e le Seychelles dove l’ha ricevuta il 68,5%, hanno problemi a contenere la pandemia. L’Ungheria di Orbàn, che pure è ricorsa ai vaccini russo e cinese senza attendere l’ok dell’Ema, è ora alla fine di una stremante terza ondata che la vede prima al mondo per mortalità, con 3 morti ogni 1000 abitanti, nell’ultima settimana. E alle Seychelles il 33% dei vaccinati ha preso il Covid in questo momento, ma senza le complicazioni che in un Paese insulare e non ricco come quello sarebbero mortali. La via fuori dal tunnel sembra dunque un binario parallelo di vaccinazioni e restrizioni. Finché almeno nel mondo non ci saranno abbastanza vaccinati. Ma quant’è «abbastanza»? Non esistono stime corrette, spiega un’inchiesta recente dell’Economist, su una possibile immunità di gregge globale: troppe le variabili, dalla resistenza a vaccinarsi ancora molto diffusa alla disomogeneità della diffusione del vaccino. Undici Paesi, ad esempio, sono ancora a zero dosi somministrate: Tanzania, Burkina Faso, Ciad, Burundi, Repubblica Centrafricana, Eritrea; Vanuatu e Kiribati in Oceania; Haiti e infine la Corea del Nord.