Il Sole 24 Ore, 20 maggio 2021
Napoli in default senza assegno statale
Dopo il «no in queste condizioni disperate» opposto dall’ex ministro Gaetano Manfredi all’offerta della candidatura sindaco di Napoli, la complicata alleanza fra Pd e M5S già naufragata a Roma e mai comparsa a Milano ha trovato una concordia inusuale sulla necessità di un intervento statale per evitare il default del capoluogo campano. Una richiesta, questa, già lanciata un’infinità di volte dal sindaco De Magistris. Senza successo.
In questi giorni il sindaco, che si candida a presidente della Calabria e avrebbe più di un problema ad avviare la campagna elettorale con un default, ha rilanciato l’esigenza di un rimedio statale al, parole sue, «il buco creato dalla Corte costituzionale». Il riferimento è alla sentenza 80/2021 con cui la Consulta ha bocciato la copertura in 30 anni del deficit generato dai prestiti statali del 2013 per pagare i debiti della Pa ai fornitori. L’addio al ripiano lungo rischia in effetti di mandare gambe all’aria centinaia di Comuni. Ma Napoli comunque in default anche senza la sentenza. A meno di spuntare in extremis un maxiassegno nel rifinanziamento da 500 milioni del fondo per gli enti in deficit strutturale. Assegno che dovrebbe essere particolarmente sostanzioso, perché il disavanzo calcolato dalla Corte dei conti vale 1,5 miliardi e il buco effettivo sale a 5 miliardi secondo Manfredi.
Perché il Comune, che dal 1993 è stato protagonista di un dissesto record tenuto aperto per oltre un decennio, era sull’orlo del crack già prima della sentenza costituzionale. Nel 2012, all’inizio del primo mandato di De Magistris, Napoli aveva aderito al «pre-dissesto», appena introdotto dal governo Monti per evitare fallimenti a catena negli enti del Sud in piena crisi del debito sovrano. Il patto era chiaro: il Comune non salta in aria, ottiene 220 milioni da restituire in 10 anni, e si impegna a coprire il buco con la vendita del patrimonio e a risanare il bilancio tagliando le spese e aumentando le entrate.
Ma il piano di riequilibrio ha zoppicato fin da subito. Dagli immobili si attendeva quasi un miliardo e sono arrivati pochi milioni, al punto che in queste settimane si è tornati a parlare dell’idea di vendere anche Palazzo San Giacomo, sede del Comune. Un po’ come se la Repubblica vendesse Palazzo Chigi e Montecitorio. La capacità di tradurre in incassi reali tasse e tariffe non è mai decollata. E la Corte dei conti, dopo aver registrato il ripetuto fallimento degli obiettivi di risanamento, ha stabilito che il Comune dovesse dichiarare il default. A fermare la bandiera bianca è stato il Conte-2, con una leggina (nel Dl semplificazioni, il 76/2020) che ferma la Corte conti fino al 30 giugno, cioè pochi giorni dopo la fine del mandato di De Magistris. Un piano quasi perfetto, saltato però per la terza ondata del Covid che ha fatto slittare le amministrative. E ha chiuso l’ombrello aperto dai giallo-rossi sull’ex magistrato.