il Fatto Quotidiano, 20 maggio 2021
Una repubblica fondata sui gatti
Mi rendo conto che l’accostamento è azzardato, ma lo faccio egualmente. Il 2020 in Italia è stato l’anno con la minima natalità di bambini e la massima adozione di cani e gatti.
Anche gli spot televisivi hanno pubblicizzato più cibi per gli animali che pappe per i bambini. Viene dunque il sospetto che la denatalità abbia a che fare con fattori di carattere culturale forse più che con cause, conseguenze e rimedi di natura economica, prevalentemente evocate. Anche in occasione dei recenti “Stati generali della natalità”, organizzati dal Forum delle associazioni familiari con l’intervento del Papa e del presidente Draghi, l’ennesimo declino delle nascite è stato imputato soprattutto a cause economiche sanabili con interventi economici. “Cosa accadrà tra una decina di anni? – si è chiesto il presidente del Forum, Gigi De Palo – Chi pagherà le pensioni se si assottiglia il numero di chi paga le tasse? E i servizi sociali? Il Pil? La sanità sarà ancora gratuita?”.
Il picco italiano del baby boom fu toccato nel 1964, quando nacquero 1.016.120 bambini, il tasso di fecondità fu di 2,70 figli per ogni donna e i nati furono 526.000 più dei morti. Nel 2020, invece, i nati sono stati solo 404.000 cioè il 60% in meno del ’64; il tasso di fecondità è sceso a 1,24; i morti sono stati 342.000 più dei nati. Papa Francesco – pure regnando sul Vaticano, cioè lo Stato con il minore tasso di natalità nel mondo – ha lamentato che “l’Italia si trova da anni con il numero più basso di nascite in Europa”, ha parlato di “un inverno demografico freddo e buio” e ha profetizzato che “senza natalità non c’è futuro”. Mario Draghi ha rincarato la dose: “Un’Italia senza figli è un’Italia che non crede e non progetta. È un’Italia destinata lentamente a invecchiare e scomparire”.
Sempre nel 2020 gli italiani hanno adottato 8.100 cani e 9.500 gatti con un aumento del 15% rispetto all’anno precedente, salito al 40% in Sicilia, Puglia e Campania. Per Carla Rocchi, presidente dell’Ente Nazionale Protezione Animali, “questi dati raccontano il desiderio e la riscoperta di condividere con gli animali la nostra vita, le nostre emozioni e i nostri momenti più difficili”. A quanto pare, gli italiani adottano gli animali per bisogni affettivi e scansano i figli per motivi economici. A dissuadere le coppie dal fare figli ci sarebbe soprattutto la mancanza di lavoro, di alloggi, di servizi e di sussidi, il precariato, i bassi salari, gli orari gravosi e i ritmi stressanti delle mansioni, lo Stato che riserva alla maternità e ai figli appena l’1% del Pil, mentre alle pensioni destina il 17%, la prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine, a sua volta dovuta al protrarsi del periodo di formazione, alla crisi economica e, solo in ultimo, a motivi culturali. Secondo Draghi la denatalità “ha a che fare con la mancanza di sicurezza e stabilità, per decidere di avere figli i giovani hanno bisogno di un lavoro certo, una casa e un sistema di welfare e servizi per l’infanzia”. Data per certa la natura economica del fenomeno, anche i rimedi vantati dal premier sono squisitamente economici: “Le risorse a bilancio ammontano a oltre 21 miliardi di euro, di cui almeno 6 aggiuntivi rispetto agli attuali strumenti di sostegno per le famiglie”. E il Papa ha apprezzato lo sforzo: “Finalmente in Italia si è deciso di trasformare in legge un assegno, definito unico e universale, per ogni figlio che nasce”. Poi, però, con l’acume che distingue un sacerdote da un banchiere, si è chiesto e ha chiesto: “Che cosa ci attrae, la famiglia o il fatturato?”. Né l’uno, né l’altro verrebbe da rispondere considerando il saldo negativo sia della nostra natalità che dei nostri conti pubblici.
Ma il quesito di Papa Francesco sposta il problema fuori dal campo economico. Nel 2019, rispetto al 2008, i matrimoni religiosi sono diminuiti da 212mila a 146mila; i matrimoni civili sono passati dal 37% al 53%; le libere unioni di coppie non sposate sono diventate 1.370.000 e da queste coppie è nato il 36% di tutti i bambini venuti al mondo nel 2019. Dietro questi dati vi sono fenomeni squisitamente culturali: nel 2019 i matrimoni tra partner dello stesso sesso sono stati 2.297; gli italiani stanno imparando a usare i contraccettivi tanto è vero che gli aborti volontari sono scesi da 234.801 nel 1983 a 76.328 nel 2018; le donne in carriera, sempre più numerose, trovano troppo oneroso conciliare il lavoro con la maternità; per motivi scolastici, lavorativi e di convenienza viene sempre più ritardata l’età del primo figlio che, anche per questo, finisce spesso per essere l’unico. Dietro questi fenomeni culturali vi è nei giovani il sospetto che non siano vere le lugubri profezie per cui un’Italia con pochi figli sia destinata lentamente a invecchiare e scomparire. Molti sanno che, grazie al progresso tecnologico, sarà possibile produrre sempre più beni e servizi impiegando meno lavoro umano; che i robot e l’Intelligenza artificiale suppliranno alla minore disponibilità di braccia e di teste; che se proprio occorrono lavoratori, si può sempre attingere all’immensa riserva del Terzo mondo.
Di fatto i giovani sono più globalizzati e meno sovranisti dei loro genitori e nonni, si rendono conto che la demografia non è una questione nazionale ma mondiale, sono sicuri che, se non provvedono loro a popolare il pianeta, ci sono altri che lo fanno, avvertono persino come meritevole non contribuire all’ulteriore affollamento di un pianeta già superaffollato. Oggi gli italiani sono 60 milioni in un mondo abitato da 7,5 miliardi di umani; nel 2040 saranno 57 milioni in un mondo abitato da 8,6 miliardi. Coadiuvati dalle nuove tecnologie, questi 57 milioni potranno produrre molta più ricchezza di quanta ne producono oggi. Ma se proprio non bastassero, invece di fare figli e foraggiarli per 25 anni prima che arrivino all’età lavorativa, c’è a disposizione un esercito industriale di riserva fatto di giovani immigrati già pronti a lavorare, e a basso costo. Il nostro Pil pro-capite, dieci volte superiore a quello dei loro Paesi di origine, sarebbe sufficiente ad attrarne quanti ne occorrono e il loro apporto renderebbe l’Italia più giovane demograficamente, più meticcia etnicamente, più sincretica culturalmente. Natalità e immigrazione non vanno d’accordo e Papa Francesco non può pretendere che, allo stesso tempo, l’Italia faccia più figli e accolga più migranti.
A frenare la natalità vi sono, infine, due motivi più subliminali e meno nobili: la sensazione che diventare genitore non rappresenti una dimensione fondamentale della propria realizzazione mentre costringe, almeno per una ventina d’anni, a sacrifici e responsabilità; il fondato timore che questi sacrifici fatti per i figli non sarebbero mai restituiti dai figli ai genitori quando questi, ormai vecchi, invece di essere venerati come avveniva nelle famiglie patriarcali, saranno scaricati nelle case di riposo come avviene nelle famiglie postmoderne. In estrema sintesi, un popolo che ama i cani e i gatti difficilmente ama i figli di pari amore, né basta offrirgli sussidi e asili nido perché cambi idea.