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 2021  maggio 19 Mercoledì calendario

La telefonata che ha cambiato la vita a Carofiglio

Torna in libreria “Testimone inconsapevole”, il romanzo nel quale compare per la prima volta l’avvocato Guerrieri Alla centesima ristampa, un record, l’autore racconta la telefonata con l’editrice che gli ha cambiato la vita


Era un pomeriggio di metà maggio, limpido e fresco. Quelli in cui ti sembra di percepire, nella trama sottile della luce e dell’aria, una vaga nostalgia mista a un senso euforico di possibilità. Si potrebbe dire: il pomeriggio perfetto per quello che stava per accadere. Mi trovavo nel mioufficio alla Procura della Repubblica di Bari, con un ufficiale e un maresciallo dei carabinieri. Discutevamo di un’indagine ma a un certo punto fummo interrotti da uno squillo del mio telefono. Guardai il display e risposi: non conoscevo il numero ma il prefisso mi diede un brivido.
«Buongiorno, parlo con il dottore Carofiglio?». Era una donna, dall’evidente accento siciliano. Mi sembra di ricordare che il suo tono fosse professionale ma anche benevolo, come di chi stia portando una buona notizia. Ma forse non è un vero ricordo, forse questa è solo un’interpolazione della memoria basata su quello che successe dopo.
«Sì?». «La signora Elvira Sellerio vorrebbe parlare con lei, posso passargliela?». Colsi lo sguardo educatamente incuriosito dei due carabinieri, e suppongo dipendesse dall’espressione che mi si era disegnata sul volto. Dissi che sì, certo, poteva passarmela.
Ho trascorso un bel pezzo della mia vita a dichiarare che, prima o poi, avrei scritto un romanzo. Col passare degli anni e con svariati tentativi andati a vuoto, mi ero convinto che non ci sarei mairiuscito:probabilmente mi mancava il talento, sicuramente la forza di volontà. Nel 2000, all’inizio di settembre e dopo la peggiore estate della mia vita, ci riprovai. Immagino fosse un tentativo per cercare di tirarmi fuori dalla tristezza insopportabile che mi aveva colpito e travolto in quei mesi. In realtà non ci credevo davvero, ero sicuro che, dopo una settimana o due, avrei smesso di scrivere come tutte le altre volte.
Con mio grande stupore non smisi di scrivere dopo una settimana e nemmeno dopo due. Invece continuai, con una regolarità inquietante, senza saltare nemmeno un giorno, per nove mesi esatti. Secondo alcuni si tratta di un tempo metaforico. Non lo so ma sta di fatto che all’inizio di maggio 2001 la tristezza era passata e io mi trovavo per le mani un romanzo completoda cima a fondo. A quel punto però sorgeva un problema nuovo e per certi aspetti addirittura più complicato: trovare un editore che fosse disposto a pubblicarlo. Cominciò così un’avventura dai tratti a volte surreali.
L’interastoria è probabilmente noiosa e potrebbe essere raccontata, più o meno uguale, da tutti gli aspiranti scrittori venuti in contatto con il mondo dell’editoria. Alcuni aneddoti però sono gustosi. Uno fra tutti, quello della lettera di un’importantissima casa editrice cui, appunto, avevo inviato il manoscritto e che rispose dopo soli tre mesi. Quando aprii la busta con il celebre, inconfondibile marchio, trattenendo il respiro ero convinto di vivere ilmomentoindimenticabile chesegnava l’inizio della mia carriera di scrittore.
Il momento fu, in effetti, indimenticabile. Ma per ragioni diverse da quelle che immaginavo. Ero giovane (diciamo) e inesperto. In futuro avrei appreso che se un editore vuole pubblicare il tuo romanzo, telefona. Se ti scrive, sta rifiutando, più o meno cortesemente. La lettera cominciava con qualche frase di generico apprezzamento e proseguiva con una raffica di critiche educate nel tono e spietate nella sostanza. La sintesiera più omeno la seguente: questo non è un romanzo, lei non è uno scrittore (e ci sembra improbabile che possa diventarlo). Molti cordiali saluti.
Raramente mi è capitato di passare in modo così repentino dall’entusiasmo alla più cupa delusione. Ci volle qualche giorno per elaborare il lutto e per seppellire la lettera (ancora la conservo, a richiesta posso esibirla) in un cassetto remoto del mio studio, con unapateticafrasediaccompagnamento pronunciata a mezza voce: «Ve ne pentirete», o qualcosa di simile.
Altri editori non si presero tanta pena e si affidarono al classico modulo di rifiuto, quello che di solito si utilizza per archiviare la pratica senza aver letto il manoscritto: «Sfortunatamente la sua opera non rientra nella nostra linea editoriale, eccetera...». Burocratico ma meno doloroso. Altri ancora, semplicemente non risposero.
Inviai il manoscritto anche alla casa editrice Sellerio, su suggerimento di un amico. Per molti mesi non ne seppi nulla. A dire il vero un paio di volte provai a telefonare per avere notizie. In entrambi i casi ricevetti una risposta cortese anche se un po’ severa: il manoscritto era in lettura, mi avrebbero fatto sapere a tempo debito. Quale fosse il tempo debito però non era chiaro, le settimane passavano e io giunsi alla conclusione che anche quel tentativo fosse destinato al fallimento.
«Sono Elvira Sellerio e voglio pubblicare il suo romanzo. Se lei è d’accordo le manderei subito un contratto per uscire a settembre». La voce era calda, arrochita dalle sigarette, con un sottofondo allegro. Quello di chi sa bene che effetto stanno producendo le sue parole. Molto semplicemente: stanno regalando all’interlocutore un momento che ricorderà per tutta la vita.
Risposi che settembre andava bene. Avreicercato di tenermi libero, aggiunsi cercando goffamente di fare dello spirito. Ci dicemmo ancora qualcosa che non ricordo, mentre i carabinieri mi guardavano sempre più incuriositi. Poi la telefonata volse al termine.
«Dottore Carofiglio, un’ultima cosa, prima di salutarla». «Dica». «Il titolo». «Il titolo?». «Sì. Il romanzo mi è piaciuto molto, il suo personaggio ancora di più. Però il titolo... quello dobbiamo cambiarlo». «Ah... e perché dobbiamo cambiarlo?». «Non si offenda, ma con quello che ha scelto lei non vendiamo nemmenouna copia».
Il titolo che avevo scelto a me piaceva, anche se in breve mi sarei reso conto di quanto fosse ingenuo e dilettantesco. In ogni caso, pur di pubblicare con Sellerio avrei disinvoltamente venduto la mia famiglia ai cannibali, figurarsi cambiare un titolo.
«Certo, possiamo parlarne. Lei a cosa penserebbe?» risposi cercando di darmi un tono.
«Nel libro c’è un’espressione che mi ha colpito: testimone inconsapevole. Secondome sarebbe un bel titolo, molto adatto alla storia, al suo significato, al personaggio. Ma il libro è suo e dunque decida lei».
Conclusa la telefonata spiegai ai carabinieri cos’era appenasuccesso, concordammo sul fatto che dell’indagine avremmo parlato il giorno dopo, loro andarono via, io rimasi in ufficio, a fantasticare. Pensai atante cose, del passato e soprattutto del futuro, e non posso escludere di aver versatoqualche lacrima. E pensai al titolo che avrebbe avuto il mio romanzo. Ero io l’autore, aveva detto l’editrice, dovevo sceglierlo io. Mi vennero in mente altre ipotesi sulle quali rimuginai per qualche giorno, scartandole a una a una per palese inferiorità rispetto a Testimone inconsapevole.
C’erano una fulminante intuizione, una perfetta aderenza alla materia romanzesca e quasi un senso di necessità, nel titolo suggerito da Elvira Sellerio. E dunque nonci sono molti dubbi – in realtà non ce n’è nessuno – sul fatto che questa centesima edizione di quel manoscritto di vent’anni fa vada dedicata a lei.