Corriere della Sera, 19 maggio 2021
I mozziconi di sigarette di Podgorni nell’archivio segreto di papa Paolo VI
Le due buste hanno sul frontespizio la dicitura: «Nobile Anticamera di Sua Santità», sovrastata dallo stemma pontificio. E i due appunti a mano che sono acclusi, di cinque e sette righe, sono firmati da monsignor Luigi del Gallo Roccagiovine, che servì silenziosamente e fedelmente quattro Papi. Spuntano dall’archivio più riservato e inaccessibile della Santa Sede, con un contenuto a dir poco sorprendente. Contengono i mozziconi delle sigarette che nel 1967 l’allora presidente sovietico Nikolaj Podgornyj si fece offrire da Paolo VI durante la loro udienza privata. Con la professionalità degna di uno scrupoloso agente segreto, il monsignore non si era limitato a far svuotare il posacenere. Aveva dato indicazioni perché quelle cicche non fossero buttate via. Al contrario, se le fece consegnare e le archiviò diligentemente, ritenendo che prima o poi sarebbero servite a qualcosa: magari anche solo per inquadrare meglio la personalità e le debolezze del capo comunista.
Uno scrupolo degno di un professionista della schedatura, che gareggia con le trame dei romanzi di spionaggio e le diavolerie tecnologiche: almeno a quell’epoca. Proietta una luce intrigante non solo sul dialogo tra il Vaticano e l’Urss, ma su una Guerra fredda e una politica di distensione della Santa Sede verso il blocco dei Paesi del Patto di Varsavia nella quale ogni indizio e occasione andavano sfruttati per conoscere meglio i nemici della religione e dell’Occidente. «Il Presidente Urss Podgorni», si legge testualmente nel primo appunto, «in udienza da Paolo VI ha chiesto di potere fumare nella Biblioteca privata (non ne poteva fare a meno!). Il Papa gli ha offerto un pacchetto di sigarette (americane!) e le cicche mi sono state date, e sono qui annesse». E nel secondo biglietto: «Questi mozziconi (o cicche) sono quelli delle sigarette offerte da Paolo VI al Presidente Podgorni durante l’udienza durata oggi dalle 13,37 alle 14,39». Data: 30-1-67. Firmato: Luigi del Gallo.
Colpiscono gli incisi tra parentesi, accompagnati da punti esclamativi di stupore e forse di lieve disappunto. Fa sorridere la precisazione sui «mozziconi (o cicche)». E si indovina una sottile perfidia nel dettaglio delle sigarette made in Usa offerte al presidente del Soviet Supremo. Non si sa il nome di chi consegnò i preziosi avanzi di tabacco al responsabile dell’Anticamera Pontificia. Ma è chiaro che era stato istruito a farlo.
Di questo singolare reperto probabilmente non era a conoscenza neppure Giulio Andreotti, al tempo ministro dell’Industria, incaricato di accompagnare Podgornyj nella visita che questi fece a Torino alla Fiat. Andreotti si prestò a portare un messaggio in Vaticano proprio in occasione di quell’udienza. Come spesso gli accadeva e sarebbe successo in seguito, l’esponente democristiano era un tramite discreto tra le stanze papali e i sovietici. D’altronde, i contatti con il mondo oltre la «Cortina di ferro» erano stati sdoganati quattro anni prima da Giovanni XXIII.
Il 7 marzo del 1963 aveva inaugurato il disgelo con l’Unione Sovietica ricevendo nel suo studio privato in Vaticano Aleksej Adjubei, genero dell’allora leader del Pcus, Nikita Krusciov. Adjubei era accompagnato dalla moglie Rada, la quale, colpita da quell’incontro e dalla figura del Pontefice, disse in modo un po’ irrituale a Giovanni XXIII: «Lei ha le mani grosse e nodose dei contadini, come quelle di mio padre».
Cauto e guardingo, il Papa preferì non sopravvalutare quel colloquio. Ma confidò al proprio segretario che forse era spuntato «un filo misterioso della Provvidenza». Morì poco dopo, e dal 21 giugno del 1963 diventò papa Paolo VI. Quattro anni dopo, la delegazione sovietica guidata da Podgornyj confermava che quel filo in effetti aveva preso consistenza. Proprio mentre si trovava in viaggio con Andreotti, il presidente dell’Urss gli chiese in modo «confidenziale e riservato» se agli ospiti del Papa fosse concesso fumare.
«Mi sentii sollevato per il quesito», racconta Andreotti nei suoi diari: temeva che Podgornyj volesse parlargli dell’Alleanza atlantica. Nelle ore che passarono insieme, lo aveva sorpreso con la sua curiosità piuttosto eclettica. Chiedeva come fosse andata l’annata dell’agricoltura italiana, come si entrasse all’università, notizie sul campionato di calcio, o quante volte al mese il presidente del Consiglio andasse dal Papa.
«Penso che non mi credette», annotò Andreotti, «quando gli risposi che Alcide De Gasperi in sette anni di presidenza era andato in udienza soltanto una volta», per il ventennale dei Patti lateranensi. Si riferiva a Pio XII, con il quale lo statista democristiano aveva avuto rapporti non sempre facili. Ma in questo caso il problema era molto più innocuo e personale. Senza una sigaretta, confessava Podgornyj, nei colloqui si confondeva e perdeva lucidità.
L’ambasciatore sovietico aveva escluso la possibilità di tirare due boccate in presenza del Pontefice. Andreotti, invece, con flessibilità curiale e democristiana, si rivelò meno perentorio. È vero, ufficialmente il fumo era un tabù, spiegò al suo eminente interlocutore. Ma ai tempi in cui Paolo VI era «solo» monsignor Montini e assisteva gli universitari cattolici, «qualche sigaretta alla fine dei pasti l’accendeva», ricordò. E fece capire che ne avrebbe fatto cenno al Pontefice. Se Podgornyj sedendosi «avesse trovato davanti un portacenere voleva dire che il messaggio era stato raccolto», scrive Andreotti nel suo L’Urss vista da vicino (Rizzoli, 1988).
Il posacenere comparve miracolosamente su un tavolino accanto alla poltrona dove il capo del Soviet Supremo fu fatto accomodare. Ma non poteva immaginare che le tracce non solo di ogni sua parola, ma di ogni boccata di fumo sarebbero finite in una busta sigillata e consegnata agli archivi papali. Forse la Guerra fredda è stata vinta anche collezionando mozziconi di sigarette offerte a un nemico tabagista.