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 2021  maggio 19 Mercoledì calendario

Una tassazione unitaria dei gruppi multinazionali per combattere l’evasione. Romano Prodi e Vincenzo Visco scrivono a Draghi per chiedergli di valutare un accordo con Biden


Signor presidente Draghi, uno dei primi atti ufficiali del nuovo presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, riguarda una misura di politica fiscale che, se introdotta sul piano globale, potrebbe dare una spinta determinante al superamento dei cosiddetti paradisi fiscali, rimuovendo gli ostacoli di ordine politico e economico che hanno impedito finora un’equa tassazione delle società multinazionali.
Si tratta di introdurre nell’ordinamento internazionale il principio della tassazione unitaria dei gruppi multinazionali e della ripartizione di una parte dei loro profitti tra le giurisdizioni fiscali dei singoli Paesi in base a criteri oggettivi (fatturato), sul quale costruire un’imposta minima globale, con un’aliquota almeno del 21%.
La negoziazione in proposito si protrae dal 2013, da quando il G20 ha incaricato l’Ocse di avanzare proposte di riforma del sistema fiscale internazionale.
Sia la proposta Ocse che quella Biden prevedono di fare riferimento ai profitti totali a livello globale delle imprese multinazionali, sia ai fini della attribuzione dei nuovi diritti impositivi, che ai fini della fissazione di un livello minimo di tassazione che Biden propone di fissare al 21%. È questa la novità più significativa della proposta americana che va sostenuta con forza anche perché in sede Ocse alcuni Paesi europei continuano a spingere per un’aliquota considerevolmente più bassa.
Un accordo di riforma della tassazione delle multinazionali non è attuabile senza la partecipazione degli Stati Uniti. L’Italia e l’Europa non possono perdere l’occasione di raggiungere un accordo di portata storica che le vedrebbe come le maggiori beneficiarie, insieme al bilancio statunitense.
Le pratiche di elusione fiscale poste in essere dalle multinazionali hanno innescato un deleterio meccanismo di «concorrenza al ribasso» tra Paesi anche all’interno della stessa Unione Europea, procurando un danno erariale globale per il mancato gettito quantificabile in almeno 240 miliardi di euro l’anno.
Sono risorse ingenti che vengono sottratte ai bilanci pubblici e alle fasce più deboli della comunità internazionale quando sarebbero necessarie, mai come in questo momento, per assicurare a tutti servizi sanitari e assistenziali adeguati, difendere e creare posti di lavoro, sostenere le piccole imprese nello sforzo per uscire dal pantano in cui le ha cacciate il drastico rallentamento della libera circolazione delle persone.
Il fenomeno è particolarmente visibile in Europa, dove diversi Paesi aggiustano i propri sistemi fiscali per attirare la base imponibile delle aziende degli altri Paesi.
Danno erariale
L’elusione fiscale ha innescato un meccanismo di «concorrenza al ribasso» nella stessa Ue
La considerazione unitaria del gruppo ai fini impositivi di cui si discute in sede Ocse va nella direzione da tempo indicata dal governo italiano. Come ricorderà signor presidente, fin dal 1997 il governo italiano aveva presentato in Europa una proposta volta a realizzare un sistema di tassazione delle multinazionali europee su base consolidata che si è poi tradotta in alcune proposte di direttiva mai approvate (Ccctb).
Oggi abbiamo l’occasione di superare in sede Ocse, e con il sostegno degli Stati Uniti, il diritto di veto di alcuni Paesi europei.
L’Italia ha attualmente la presidenza del G20 e le condizioni sono mature perché si possa arrivare a un accordo epocale proprio al summit fissato a Venezia il prossimo luglio. Tuttavia i negoziati che si profilano, ancora complessi, potrebbero nascondere insidie per il futuro buon funzionamento della nuova architettura.
L’opposizione dei paradisi fiscali di fatto che operano nel contesto europeo è già iniziata e si somma all’inevitabile azione di lobbying delle multinazionali contro un accordo considerato penalizzante, se confrontato con lo status quo estremamente favorevole raggiunto grazie alla farraginosità del sistema e alla libera concorrenza fiscale tra Stati.
È necessario che l’Italia faccia sentire la sua voce a supporto di questa riforma e che insieme ai suoi partner europei, in particolare Germania, Francia e Spagna, sostenga attivamente la proposta avanzata dall’amministrazione Biden, in vista di un accordo ambizioso.
Le chiediamo quindi presidente Draghi di esprimersi pubblicamente a favore della proposta di un’aliquota minima globale non inferiore al 21% e a usare tutto il suo peso internazionale e la sua influenza per convincere anche gli altri Paesi del G20 affinché venga raggiunto un accordo su un sistema impositivo equo per le imprese e capace di riallocare le ingenti risorse congelate nei paradisi fiscali, ai fini di promuovere la ripresa economica e il benessere di tutta l’umanità.
Il nostro appello è aperto all’adesione dei colleghi economisti e tributaristi.