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 2021  maggio 19 Mercoledì calendario

Mediobanca, quel che resta del patto

Delfin intercetta il 2% di Fininvest e sale al 15,4%. Il traguardo del 20% è più vicino, ma al momento non pare esserci la fila di venditori tra gli altri azionisti con quote rotonde. Tra Mediolanum e Benetton ci sarebbe quel 5% che permetterebbe a Del Vecchio di arrivare alla meta, ma né l’uno né l’altro azionista al momento sembra intenzionato a seguire l’esempio della holding di casa Berlusconi. Fonti di Banca Mediolanum, che ha in portafoglio il 3,3% di Mediobanca, fanno anzi sapere che non c’è nessuna intenzione di vendere la quota in questo momento. 
Il pacchetto della banca controllata dalla famiglia Doris, cui partecipa anche Fininvest col 30%, è il più consistente di quelli conferiti al patto che, dal 2019, è diventato di pura consultazione e oggi riunisce solo il 10,6% del capitale. Mediolanum aveva rilevato le azioni a suggello dell’alleanza strategica nel wealth management che aveva preso la forma di Banca Esperia, una joint venture terminata quando Piazzetta Cuccia aveva deciso di comprare il 50% del partner, salendo al 100%.
Doris era però rimasto nel”salotto buono”, seguendone e approvandone l’evoluzione anche quando si era deciso di mandare in soffitta definitivamente lo storico accordo tra soci che un tempo blindava il controllo dell’istituto, di fatto consegnandolo nelle mani del fondatore Enrico Cuccia e poi del suo successore Vincenzo Maranghi. Alla terza generazione, l’ascesa al comando di Alberto Nagel aveva impresso una svolta. Smantellate progressivamente le partecipazioni incrociate che costituivano la ragnatela del capitalismo del Nord Italia tessuto da Cuccia, anche il patto di sindacato ha iniziato a perdere pezzi e peso “politico”. Oggi l’accordo non ha più prerogative di governance, non contempla la possibilità di assegnare posti in consiglio, ma nemmeno impegna gli azionisti che vi partecipano a mantenere i titoli in portafoglio o a concederli in prelazione agli altri soci. Tant’è che Fininvest non ha nemmeno informato anticipatamente la banca dell’intenzione di uscire.
Per la finanziaria lussemburghese di Del Vecchio si tratta di un arrotondamento in blocco che si discosta dalla politica dei piccoli passi – un arrotondamento dell’ordine dell’1% al mese – seguita dopo il superamento del 10% fino a un paio di mesi fa, quando evidentemente il prezzo in Borsa è “scappato”. Proprio l’ultima mossa fa pensare che ora si voglia imprimere un’accelerazione per arrivare al traguardo in tempi relativamente brevi. 
Ma, appunto, Mediolanum in questo momento non ha intenzione di vendere e anche i Benetton, che detengono un altro 2% aderente al patto, per ora preferiscono restare alla finestra. Entrambi, pur avendo classificato le rispettive quote tra le partecipazioni finanziarie non hanno motivi per vendere adesso. Neppure pare avere senso che il patto si sciolga,  dal momento che di fatto non lega le mani a nessuno.
Resta da capire dove si vada a parare. Una nota di giornata di Equita rileva che «la strategia di Del Vecchio in Mediobanca resta poco chiara». Non è l’unica sul mercato a interrogarsi, anche perchè l’autorizzazione della Bce era stata concessa in chiave di investimento finanziario e Delfin, che già da tempo è il primo singolo azionista, non è rappresentata nel board di Piazzetta Cuccia. Si immagina che l’imprenditore degli occhiali accarezzi l’idea di accompagnare Generali a un’operazione internazionale di grande respiro. Un buon progetto non avrebbe motivo di essere scartato. Ma i conti bisogna farli anche col mercato che, nel caso di Mediobanca, come del resto di Generali, è ancora l’azionista maggioritario con oltre la metà del capitale. Qualunque sia il disegno complessivo, da convincere anzitutto ci sono gli investitori istituzionali.