Il Messaggero, 19 maggio 2021
Castellitto riabilita D’Annunzio
Adorato in vita «come una rockstar», maledetto dopo la morte «e condannato alla damnatio memoriae dalla cultura di sinistra del Novecento», Gabriele D’Annunzio rivive sul grande schermo (è la prima volta) nella travolgente interpretazione di Sergio Castellitto. «Per trasformarmi nel Vate mi sono completamente rasato, è stato un atto di generosità nei confronti del personaggio: sotto il suo cranio privo di capelli c’erano sapienza, fantasia, crudeltà, intelligenza sovversiva», spiega l’attore, 67 anni, protagonista del film Il cattivo Poeta, ambiziosa quanto preziosa opera prima di Gianluca Jodice. Che ha potuto ambientarla al Vittoriale, la casa-museo del grande pescarese situata a Gardone Riviera ed eccezionalmente concessa al cinema da Giordano Bruno Guerri, presidente della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani e tra i massimi esperti di storia del fascismo. Il film, nelle sale il 20 maggio con 01 Distribution, ricostruisce gli ultimi mesi di vita di D’Annunzio, auto-esiliato al Vittoriale tra fasti e perversioni, a tu per tu con il giovane federale Giovanni Comini (l’attore Francesco Patanè, 25) che nel 1936 fu inviato dal numero 2 del regime Achille Starace a spiare il poeta e metterlo in condizione di non nuocere all’imminente alleanza con Hitler.
L’INIMICIZIA
Tra il Vate e Benito Mussolini c’era infatti una «cordiale inimicizia» e il capo del fascismo non si fidava di D’Annunzio, dotato di un seguito enorme, eroe di guerra e troppo anticonformista per aderire acriticamente al regime. «Siamo stati scrupolosissimi: ognuna delle situazioni e delle parole pronunciate sullo schermo ha avuto il riscontro degli storici», spiega Jodice, 47, napoletano, una laurea in filosofia e nel curriculum molti corti e sceneggiature.
LA VERITÀ
L’intento dichiarato del film è ripristinare, in qualche modo, la verità storica sulla figura del poeta sbrigativamente considerato un’espressione del fascismo: «Che fosse geniale l’avevo capito molto prima di interpretarlo», spiega Castellitto, «anche se gli intellettuali del dopoguerra, da Alberto Arbasino a Elsa Morante e Pier Paolo Pasolini, lo hanno demonizzato. E pensare che se c’è un personaggio assimilabile a Pasolini, è proprio D’Annunzio: entrambi sono stati dei poeti-soldato, sempre i primi ad uscire dalla trincea per prendersi un colpo in fronte. D’Annunzio e Pasolini formano, con Curzio Malaparte, la trinità che ci permette di rileggere la storia del pensiero italiano senza pregiudizi ideologici. Invece, tre giorni fa a Trieste, la statua di D’Annunzio è stata imbrattata: segno allarmante che la cancel culture comincia a colpire anche da noi».
ARTE E POTERE
Qual è l’attualità di D’Annunzio? «La sua vicenda ci dimostra un fatto: il potere ha sempre accarezzato gli artisti che a loro volta, fin dai tempi del mecenatismo rinascimentale, si sono lasciati accarezzare. E non soltanto sotto le dittature», risponde Sergio. «Invece l’artista dovrebbe essere strutturalmente contro chi comanda». Una curiosità su Francesco Patané, genovese, attore di teatro alla sua prima interpretazione nel cinema: «Mentre facevo provini su provini in cerca dell’interprete giusto per Comini, avevo ingaggiato Francesco per porgere le battute ai candidati», racconta Jodice. «Poi mi sono accorto che era bravissimo. E ho scritturato proprio lui».