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 2021  maggio 18 Martedì calendario

Il ritorno di Banana Yoshimoto



Nel 1988 Banana Yoshimoto è entrata in cucina e non ne è più uscita. Anzi: si è presa tutta la casa, tutto il mondo. Però tutto è cominciato da lì, perché – come recita l’incipit del primo romanzo della più famosa autrice giapponese – «non c’è posto al mondo che io ami più della cucina». Fu Kitchen a lanciare Banana Yoshimoto in patria ma fu l’Italia a regalarla al mondo, perché si deve a uno studioso sensibile come Giorgio Amitrano l’intuito di esportarla (firmò lui la prima traduzione in assoluto). Si scatenò un virtuoso effetto domino che trasformò il romanzo di una ventenne o poco più in un fenomeno globale e avviò una lunga catena di successi editoriali.
Nata a Tokyo nel 1964, figlia di un saggista celebre, Yoshimoto Mahoko è rimasta, con il suo nom de plume di Banana, un volto riconoscibile ed emblematico del Giappone. Anche quando la vertiginosa moltiplicazione delle icone e delle mode associate al suo Paese l’ha normalizzata, facendone «semplicemente» una scrittrice, lei ha continuato il suo lavoro: raccontare, raccontare, raccontare. Le sue storie, che si dispiegano nelle metropoli come nelle realtà rurali, hanno contribuito a ricordarci come il Giappone non sia solo una macchina produttiva o uno schermo di memorie e fantasie o, ancora, una lunare fucina di tecnologia e fenomeni pop. Tokyo e il Paese tutt’intorno brulicano invece di destini individuali che si tingono di malinconia, di aspirazioni che virano in rimpianti. Anche laggiù dietro ogni fallimento si annida, discreto ma tenace, il momento della rinascita. Donne e uomini come noi.
Proprio a Banana Yoshimoto è dedicata la seconda uscita della collana del «Corriere della Sera» che esplora la letteratura giapponese contemporanea. E il titolo scelto, Il dolce domani (la traduzione è di Gala Maria Follaco), si dimostra uno dei suoi migliori per la capacità di penetrare con delicata spietatezza nei traumi della nazione asiatica. È un talento, quello di saper riflettere in chiave narrativa sulle lacerazioni della società nipponica, che Banana ha raggiunto col tempo e che aveva rivelato appieno con Il lago, uscito nel 2005, ispirato all’attacco al gas sarin nella metropolitana di Tokyo del 20 marzo 1995, compiuto dalla setta para-religiosa Aum Shinrikyo (morirono 13 persone, oltre 6 mila rimasero intossicate). In modo analogo, Il dolce domani, scritto all’indomani di Fukushima e uscito in Italia l’anno scorso, elabora – ma senza accenni espliciti – lo choc dell’11 marzo 2011 quando il terremoto, lo tsunami e il disastro nucleare sconvolsero il Giappone.
Il libro
Tra i suoi migliori per la capacità di penetrare nelle ferite della nazione asiatica
In questo romanzo la scrittrice smantella ancora una volta l’equivoco nel quale Kitchen e le atmosfere dei romanzi immediatamente successivi avevano rischiato di imprigionare Banana: cioè che si trattasse di una scrittrice presa da un’estenuata ed estenuante adolescenza, con uno strato di glassa zuccherosa a coprire le fenditure più dolorose del quotidiano. Invece no. Almeno nei suoi romanzi più riusciti, e Il dolce domani lo è, Banana si dimostra tutt’altro che distaccata dal mondo, per quanto ne affronti le contraddizioni attraverso percorsi molto distanti, per dire, dalla complessità delle architetture di Murakami Haruki. Il male va detto: detto e combattuto.
Nel Dolce domani l’io narrante Sayoko è una giovane scampata a un incidente nel quale ha perso il fidanzato; non ha ancora ritrovato il suo posto nel mondo: «Essere sopravvissuta era per me ancora un peso». Saranno gli incontri a liberarla dal lutto e riportarla alla vita: parla con i genitori del fidanzato, un barista le rivela come un figlio possa donare resilienza, compaiono presenze oltremondane – quasi una germinazione degli spiriti che popolano le storie tradizionali – perché «questo mondo e l’altro ci mettono poco a mescolarsi». La rinascita riguadagna terreno e qui l’apprendistato espressivo messo a punto nei primi libri dà a Banana gli strumenti per captare e registrare le piccole scosse, il bradisismo emotivo che muove i personaggi.
Maturità
È uscita dalla «cucina» degli inizi per rivelarci da che parte sta piegando la nostra vita
«Avevamo tutto, eravamo fortunati. Da vivi o da morti, non ci manca mai niente», leggiamo. Come la stessa autrice spiegava lo scorso giugno in un’intervista a «la Lettura», le pagine del Dolce domani scorrono per «coloro che hanno perso qualcuno, e per quelli che non ci sono più. Faccio sempre in modo di lasciare, alla fine, un barlume di speranza». Banana, quindi, non fugge dalla violenza del mondo: semplicemente lo affronta con una strategia e una tattica tutte sue. Ci gira intorno e poi affonda la sua prosa, solo in apparenza delicata.
Kitchen e non più Kitchen, dunque, perché – leggiamo nel Dolce domani – gli occhi di Sayoko imparano a vedere «cose mai viste prima» e dunque a ricostruire un universo vitale: ecco, Banana è uscita definitivamente dalla cucina degli inizi per incoraggiarci e per rivelarci da che parte sta piegando la nostra esistenza.