la Repubblica, 18 maggio 2021
Intevista a Massimo Popolizio
Compirà 60 anni il 4 luglio quello che in tanti consideriamo il più bravo attore italiano di cinema e teatro, sulla scena da quando ne aveva 20 e per vivere vendeva pentole casa per casa. Poi, l’incontro decisivo con Luca Ronconi, più di trenta spettacoli insieme e la luminosa (e per l’Italia trasgressiva) idea di giocare su più tavoli: fare cinema popolare e cinema d’autore, commedie e drammi che fanno stramazzare, senza mai sminuire la sua bravura.Massimo Popolizio minimizza imbarazzato le lodi: ha fama di brontolone, mai contento di sé, ma fare l’attore lo diverte ancora e festeggerà il compleanno con il lavoro, come sempre: due film sono già usciti ( I predatori di Pietro Castellitto e Governance con Vinicio Marchioni), quattro in arrivo ( Il confine diretto da Vincenzo Alfieri, La notte più lunga dell’anno di Simone Aleandri, una partecipazione in Siccità di Paolo Virzì e Across the river and into the trees, regia di Paula Ortiz); il 10 luglio su Rai 5 farà un ritratto di Ronconi per il ciclo Essere attori, a cura del Centro Santacristina; e girerà l’estate con tre spettacoli, La caduta di Troia sul libro II dell’Eneide, Shadows sulla vita di Chet Baker con Fabrizio Bosso e Julian Mazzariello ed è in scena da oggi all’Argentina di Roma, che lo coproduce con la compagnia di Umberto Orsini (poi a Udine, Genova e al Piccolo di Milano dall’8 giugno), con Furore, bella occasione per confrontarsi con la dolorosa attualità del capolavoro della letteratura americana, il romanzo del ’39 di John Steinbeck, tragica avventura della gente che si spostava verso l’Ovest in cerca di fortuna. «Pochi giorni fa, quando sono tornato a recitarlo dopo quasi un anno di lockdown, ho sentito la commozione del pubblico. Era proprio ora di ripartire».Si dice che nulla sarà più come prima. Neanche il teatro?«La sala con il 50 per cento di spettatori pensavo fosse peggio. Lo senti un po’, agli applausi, il senso di vuoto. Ma non mi piace la retorica del “mi manca il rapporto col pubblico”. Manca, ovvio, ma il teatro a noi attori dà soprattutto una regola: prove, sala, recita. A me durante la pandemia è mancato quello e perfino girare da una città all’altra come si fa nelle tournée.Stare a casa non è piacevole. Io ho fatto un trasloco ma senza scadenze di lavoro giro a vuoto. Ho pensato a cose future».Non c’è il progetto di portare in scena “M. L’uomo della provvidenza” di Antonio Scurati?«C’è, c’è. È un progetto importante, corale, lo stiamo costruendo per il 2022, spero con la coproduzione del Teatro di Roma e del Piccolo».Oggi “Furore”, domani “M": da Ronconi ha preso l’amore per la letteratura a teatro?« Furore è uno spettacolo fuori catalogo, un grande flusso narrativo dove le parole sono importanti, come le creazioni sonore di Giovanni Lo Cascio e le immagini di Dorothea Lange, la fotografa della Grande depressione americana degli anni Venti. La drammaturgia di Emanuele Trevi più che al romanzo si lega all’inchiesta giornalistica commissionata a Steinbeck dal San Francisco News sulle condizioni di vita dei braccianti, poverissimi, che si mettevano in viaggio verso la California. È un affresco epico e terribile che ha un’attualità straziante per noi. C’è una frase di Steinbeck che mi ha toccato, quando racconta di una famiglia di dieci persone che non ha niente, costruisce come può una roulotte e sulla Route 66 attende che qualcuno li aiuti. La frase di Steinbeck è: “Come si può avere un coraggio simile e così tanta fede nel prossimo”. Pensi a chi attraversa il deserto africano, la Libia, il mare… quanta fede nel prossimo ha?Credo che questa pandemia ci abbia reso tutti più fragili, paurosi, cattivi e meno informati».È il pessimismo dei sessant’anni?«Ma no, dei sessant’anni sono contento. Guardo indietro e dico “oddio quanto lavoro ho fatto”.Spero semmai di non diventare uno di quelli che dicono “ho fatto tutto”, anche se con Ronconi ho recitato a venti metri d’altezza, con le telecamere, sulle pedane girevoli, tanto che i giovani che dicono che la recitazione è morta mi fanno ridere... Confido piuttosto che qualche curiosità mi si accenda sempre. Coi sessant’anni vorrei trovare un po’ di equilibrio. Parlo di me. Essere meno chiuso agli altri. Io sono un orso e la pandemia non mi ha fatto bene».Antidoti ne ha?«Il cinema. Il miglior antidepressivo: devi alzarti la mattina, stai sul set in mezzo a tante persone. Peccato solo che al massimo su un set lavori 25 giorni. Avrei bisogno di più tempo».