la Repubblica, 18 maggio 2021
Il balcone di Hitler che divide l’Austria
Il tabù, fino a qualche giorno fa, pareva sdoganato. Aprire al pubblico il “balcone di Hitler”, da cui il Führer arringò la folla nei tristi giorni dell’Anschluss. Ogni regime, si sa, ama urlare ignoranza e deliri da un balcone: anche Roma ha il suo.
Nel caso di Vienna si tratta in realtà d’una bella terrazza, con vista che spazia fino alle morbide alture del Wienerwald. Tecnicamente è un’altana nell’ala sud-est della Neue Burg, la nuova reggia voluta dagli Asburgo (che spazzati via dalla Grande guerra non fecero in tempo a godersela). Il famoso balcone si affaccia sull’enorme Heldenplatz ("piazzale degli Eroi"), dove il 15 marzo 1938 sotto il sole primaverile 250 mila cittadini adoranti applaudirono il dittatore, che proclamava «l’ingresso della mia patria nel Reich tedesco».
Per capire quanto scottino queste parole nell’Alpenrepublik: nel 1988, cinquantenario del discorso hitleriano dall’altana, Thomas Bernhard scrisse – a un passo dalla morte – il dramma Heldenplatz. Gli fruttò minacce e insulti da tutti i leader politici: il socialista Bruno Kreisky e il superdestro Jörg Haider, il governo, il sindaco, il vescovado, perfino il presidente della Repubblica, tutti invitarono (invano) a boicottarlo o a farlo sforbiciare dalla censura. Fu il più feroce scandalo culturale del dopoguerra. Nella Neue Burg ha sede adesso la Casa della Storia austriaca, neonato museo di storia patria, cui afferisce il balcone fatale. La direttrice Monika Sommer, per esorcizzare l’ingombrante totem (lo charme della svastica è duro a morire), ne ha proposto la riapertura. Frau Sommer ha perfino indetto sul web un concorso pubblico di idee, in cui i progetti (installazioni, murales, pannelli, piante rampicanti…) possono essere votati con un clic di mouse.
L’imbarazzo è tragico. Finora a Heldenplatz non c’era neppure una targa che ne ricordasse il triste passato. I turisti, linfa della città, si accostavano alla Neue Burg ignari e sognanti. E adesso?
A Vienna vige il manuale Cencelli: i partiti si spartiscono col bilancino ogni scheggia di potere, compresi i direttori delle scuole di periferia. Non a caso rischia le dimissioni il giovane cancelliere Kurz, accusato dai magistrati di aver mentito al Parlamento in un’inchiesta sulla lottizzazione delle poltrone di Stato. L’indagine nasce dal famoso scandalo Ibizagate, che ha già affondato il vice di Kurz nel precedente governo, l’odontotecnico Heinz-Christian Strache, sbilenco erede della Fpö di Haider.
Inevitabile quindi un sotterraneo tira e molla tra la Övp di Kurz e la “rossa” Spö del sindaco Michael Ludwig, dominatrice della capitale da quasi ottant’anni. Risultato: il governo Kurz, che supervisiona numerosi edifici storici tramite un organo ad hoc, la Burghauptmann-schaft, la settimana scorsa ha bocciato la riapertura del balcone.
Capitolo chiuso? Tutt’altro: le tracce di Hitler nella capitale asburgica sono innumerevoli, come insegna il classico Hitlers Wien di Brigitte Hamann, purtroppo mai tradotto in italiano. Nel Rathaus, il municipio da cui timoneggia il sindaco Ludwig, a poche centinaia di metri da Heldenplatz, c’è un secondo balcone di Hitler. Costruito in legno per un precedente comizio che il Führer tenne dalla facciata del Municipio sempre nel 1938, l’anno seguente venne eternato ricostruendolo in marmo: un enorme foruncolone, stilisticamente alieno, al centro della bella facciata neogotica.
Durante il mandato di Ludwig l’enorme Rathaus è stato transennato e restaurato. Occasione perfetta, ha attaccato l’artista e blogger Konstanze Sailer, per abbattere quel posticcio trespolo di marmo sul quale Hitler non ha nemmeno poggiato gli stivaloni. Invece l’amministrazione Ludwig lo ha ristrutturato, e innaffiato amorosamente i bei vasi di gerani. Sarebbe crudele infierire, ricordando quanti gerarchi nazisti in passato si sono riciclati nella Spö (impressionante la lista uscita nell’agosto 2019 sul quotidiano Die Presse). Ma resta il fatto, insiste la Sailer, che una buona occasione è andata perduta.
E Kurz? Potrebbe salvarsi, se non viene provato che aveva una precisa intenzione di mentire, oppure se nelle domande a lui rivolte può intravedersi una drohende Schande, la minaccia di un’onta (così alcuni giuristi su Der Standard il 14 maggio). Regole un po’ comode. Ma meglio un Kanzler che risponde alle domande in modo un tantino sportivo, di un vice come Strache: sotto i balconi di Hitler alcuni dei suoi aficionados ci tornerebbero volentieri. L’Italia è stata più prudente: il balcone di palazzo Venezia, segnalava l’anno scorso Bruno Vespa, resta ben lucchettato.