Avvenire, 18 maggio 2021
Le rivalità musicali
«Io mi faccio maraviglia della loro incredulità! Non sono forse abituati lor signori a vedere balzare vivi quassù, uno di fronte all’altro, i personaggi creati da un autore? Forse perché non c’è là (indicando la buca del suggeritore) un copione che ci contenga?». Maggio 1921, debutta a Roma Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello. Ognuno di noi, più volte nella vita, recita una parte in commedia e se non è stata ancora scritta, sarà lui stesso a farlo. Lui o i suoi fantasmi. Testimoni increduli e stupefatte cronache narrano di un troppo umano e piuttosto aggressivo atteggiamento tenuto dal maestro Riccardo Muti nei confronti del suo successore come direttore musicale del Teatro La Scala, Riccardo Chailly, che si racconta abbia reagito nel più elegante dei modi. L’episodio è accaduto l’11 maggio al termine del concerto dei Wiener Philharmoniker diretti da Muti: la non comprensibile decisione della direzione della Scala di invitare un’orchestra e un direttore ospiti nel giorno sacro alla memoria artistica e civile del teatro (11 maggio 1946, Arturo Toscanini dirige il primo concerto della Scala ricostruita dopo la guerra; 11 maggio 2021, riapertura al pubblico della sala per la prima volta dopo la pandemia) ha generato la reazione degli orchestrali di casa che hanno vissuto l’iniziativa come un sopruso, promuovendo in fretta un loro concerto per il 10 maggio, diretto da Chailly. Sembrava, così, tutto appianato. Sembrava, ma erano in agguato l’inconscio e i suoi fantasmi, che volentieri prendono casa nell’animo degli artisti.
«Ha sentito di Antonio Salieri? Sta di nuovo molto male. Vaneggia tutto il tempo dicendo che è colpevole della morte di Mozart e che gli ha dato del veleno – È la verità e lui vuole confessarla. Tutto si paga». È il 1824, Mozart è morto da 33 anni e quella diceria arriva a Beethoven. Anche Karl, il giovane nipote del Maestro, conferma: «Si dice apertamente, oggi, che Salieri è l’assassino di Mozart». Quando il russo Puskin scriverà Mozart e Salieri, il dramma che avvia la fortuna letteraria di questa leggenda, evi- dentemente attinge a voci diffuse, anche nell’ambiente dei musicisti. E perché Salieri avrebbe compiuto quel delitto? Per invidia, come ha raccontato Milos Forman nel suo fortunatissimo film Amadeus: l’invidia di un artista verso un collega meno potente, meno ricco, meno stimato alla corte di Vienna, però più bravo, innegabilmente. Un genio, e Salieri sapeva di non esserlo. Quando Giuseppe Verdi compone il suo primo e unico quartetto per archi, fa di tutto per sminuirlo. Siamo a Napoli nel 1873, ambedue le protagoniste di un’Aida prevista al Teatro San Carlo sono malate e per Verdi le giornate diventano lunghe. «Nelle molte ore d’ozio, per semplice passatempo », racconta all’amico Opprandino Arrivabene, comincia a scrivere il quartetto. Quando è pronto la prima esecuzione ha luogo non in un teatro, ma in un saloncino dell’albergo dove alloggiava. Senza pubblico: «L’ho fatto eseguire una sera senza dargli la minima importanza e senza fare invito di sorta. Erano presenti soltanto sette o otto persone solite a venire da me». Ore d’ozio, passatempo, nessuna importanza: non ha mai usato espressioni simili durante la composizione delle proprie opere, sembra che ora cerchi una giustificazione, che metta le mani avanti. Agisce così per il terrore del confronto con la grande tradizione europea dei Quartetti per archi, di Haydn, Mozart, Beethoven, Schumann. Arrivato a sessant’anni, non ne aveva ancora scritto uno e si avventurava in un territorio meraviglioso, ma a lui sconosciuto e che lo intimoriva.
Stravinskij non amava Wagner, il cui successo, anche grazie all’usurpazione propagandistica da parte del nazismo della sua musica, continuava ad aumentare. Tra 1939 e 1940, quando ormai ha lasciato l’Europa in guerra ed è diventato cittadino americano, Stravinskij tiene alcune lezioni di poetica all’Università di Harward. E si scatena: «L’opera di Wagner risponde a una tendenza che non è propriamente un disordine, ma che tenta di supplire ad una mancanza di ordine. Il sistema della melodia infinita è il perpetuo divenire di una musica che non aveva nessuna ragione di iniziare come non aveva nessuna ragione di finire». Wagner disordinato? Molto arduo pensarlo, a meno di non essere rosi da qualche misterioso tarlo. Stravinskij, che negava alla musica qualsiasi possibilità di esprimere alcunché al di fuori di se stessa, non tollerava l’intenzione, perfettamente riuscita, di Wagner di raccontare attraverso le sue opere e la loro forma aperta e ciclica, gli abissi di avidità e violenza che scandiscono la storia dell’umanità. Già che ha avviato il motore, Stravinskij se
la prende anche con Verdi, accusato di essersi, in vecchiaia, fatto intossicare da Wagner: «Come non rimpiangere che arrivato al termine di una lunga vita costellata di tanti autentici capolavori, abbia coronato la sua carriera con quel Falstaff che, se non è il miglior lavoro di Wagner, non è nemmeno la migliore opera di Verdi?». Se voleva essere una battuta, è riuscita male.
Prince, il cantante e autore morto di overdose nel 2016, aveva in mente di «conquistare il mondo». Racconta Carlo Boccadoro in Bach/ Prince - Vite parallele, libro tanto originale quanto documentato, che durante i viaggi in autobus tra un concerto e l’altro Prince chiedeva ai musicisti bianchi del suo gruppo: «Credete che vostra nonna comprerebbe il mio album?». Voleva parlare a tutti, ma era soprattutto il pubblico nero a seguirlo e la rigida divisione in categorie e in gruppi, anche etnici, del mercato della musica statunitense lo faceva infuriare, nonostante gli enormi successi ottenuti. Invidia, insicurezza, rivalità, ansia per il tempo che fugge via sempre più veloce di quanto immaginavi. Fragilità e fantasmi che appartengono e convivono con i più grandi artisti.