Il Sole 24 Ore, 18 maggio 2021
L’oro torna a brillare
Con la paura dell’inflazione l’oro è tornato ad attirare l’attenzione degli investitori. Le quotazioni del metallo prezioso avevano cominciato a risvegliarsi da un lungo torpore fin dall’inizio di aprile, ma è solo negli ultimi giorni che con uno strappo al rialzo si sono portate ai massimi da tre mesi, raggiungendo un picco di 1.862 dollari l’oncia.
La performance da inizio anno resta negativa (-2,5% circa), ma la strada verso ulteriori rialzi sembra ormai sgombra sotto il profilo tecnico, dopo che il prezzo del lingotto ha superato la media degli ultimi 200 giorni. Anche l’atteggiamento dei fondi sembra essere cambiato, sia nei confronti dell’oro che verso altri asset. Il dubbio che le tensioni inflazionistiche siano più intense e durature di quanto sperato dalle banche centrali, costringendo a una stretta monetaria anticipata, ha indotto a riorganizzare i portafogli, provocando una correzione non solo sui listini azionari ma anche sui mercati delle materie prime.
È presto per decretare un’inversione di tendenza. In molti casi potrebbe essersi trattato di semplici prese di profitto, tant’è che il rame – dopo aver archiviato la prima settimana in ribasso da un mese – ieri ha già ripreso ad apprezzarsi, intorno a 10.400 dollari per tonnellata (il record storico di una settimana fa è 10.747 $).
Che qualcosa sia cambiato è comunque evidente, anche dalle statistiche sul posizionamento dei fondi. In una sola settimana, quella fino all’11 maggio, gli hedge funds sui mercati Usa hanno incrementato del 45% l’esposizione netta lunga (all’acquisto) sull’oro, portandola a 95.600 lotti, il massimo da oltre tre mesi. Le scommesse rialziste sul lingotto aumentano anche via Etf, dopo i pesanti riscatti proseguiti fino a tutto marzo.
In parallelo al ritorno sull’oro, è cominciato – in modo significativo, ancorché limitato – un ritiro dall’arena infuocata delle materie prime. I fondi speculativi non hanno cambiato orientamento in modo drastico, ma hanno comunque liquidato una parte delle posizioni rialziste accumulate senza sosta per mesi. Così nella settimana all’11 maggio, proprio mentre il rame volava ai massimi storici, «i money manager invece di continuare a comprare, come spesso fanno, hanno optato per ridurre dell’8% l’esposizione lunga», fa notare Saxo Bank. Nello stesso periodo le scommesse rialziste sul petrolio (tra Brent e Wti) sono state tagliate del 6,5%, ai minimi da 5 settimane, mentre quelle su mais, grano e soia – dopo la folle corsa dei prezzi ai massimi da un decennio – sono crollate addirittura ai minimi dallo scorso dicembre.
Le liquidazioni, con tutta probabilità, sono proseguite anche nei giorni successivi quando molte materie prime hanno subito pesanti correzioni. Ad alimentare le vendite – e viceversa a spingere verso l’oro – c’è stata una serie di dati macroeconomici che alle orecchie di molti investitori sono suonati come assordanti campanelli di allarme. Il più forte è arrivato venerdì, con la frenata delle vendite al dettaglio Usa in aprile, mese in cui l’inflazione ha registrato il balzo più forte dal 2008.
Ieri anche dalla Cina è arrivata una conferma dei rischi che si profilano dopo mesi di vertiginosi rincari delle materie prime e gravi difficoltà nei rifornimenti: sia i consumi che la produzione industriale del Paese asiatico hanno rallentato il passo ad aprile, mentre i costi produttivi si impennavano con la massima intensità dal 2017. Pechino sta peraltro cominciando ad esportare inflazione, attraverso l’aumento di prezzo delle merci vendute all’estero: una notevole discontinuità rispetto al passato, quando la Cina aveva piuttosto agito come forza deflazionista.
L’oro ricomincia a brillare anche in risposta a questi rischi, benché a sorreggerlo sia soprattutto l’andamento dei tassi reali negli Usa, cui lo lega un forte rapporto di correlazione inversa. I riflettori sono puntati sui rendimenti record dei titoli decennali (che riflettono l’attesa di una stretta monetaria della Fed), ma i tassi a breve nei giorni scorsi sono calati e il dollaro si è indebolito.