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 2021  maggio 17 Lunedì calendario

Biografia di Elisabetta II

Elisabetta II, regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, è il sovrano più longevo d’Europa. Incoronata a 26 anni, ha raggiunto i 25 mila giorni di regno. La sua vicenda umana e politica ha attraversato una parte significativa del Novecento e continua ad avere un ruolo peculiare negli equilibri del Paese che ha recentemente tagliato il suo legame con l’Unione Europea. «Il ruolo della regina come potere imponente – scriveva, durante l’età vittoriana l’economista liberale e primo direttore dell’Economist Walter Bagehot nel suo English Constitution – è di un’utilità incommensurabile. Senza la regina, l’attuale governo inglese cadrebbe e non potrebbe esistere. Spesso, quando si legge che la regina ha passeggiato per il grande prato di Windsor o che il principe di Galles ha assistito a un derby, si potrebbe pensare che si stia prestando un’attenzione eccessiva o un’importanza esagerata a delle inezie. Ma non e così ed è opportuno spiegarlo».
È la sesta donna a salire sul trono di Sant’Edoardo e quando di ritorno dal Kenya, richiamata a casa dalla morte di suo padre, i britannici cominciano a conoscerla, ne vengono incantati dalla bellezza, dalla giovinezza, dall’eleganza del portamento e dalla semplicità dei suoi gesti. Quella donna traghetterà il Regno Unito attraverso una stagione di profonde trasformazioni, sociali ed economiche.
La sfida del suo regno è stata misurarsi con il continuo confronto modernità-tradizione e nel dover ripensare la Corona al servizio, prima di una popolazione che doveva ricostruirsi dopo le miserie e le angosce della guerra, poi di una generazione di individui che fu l’avanguardia in Occidente di un’epoca di ribellione, contestazione e dissacrazione. Incarnando la tradizione e rafforzandola nell’adattarla e non nell’allontanarla dalla modernità, Elisabetta II vince la sfida. Il suo regno ha rappresentato la stabilità di un’istituzione le cui peculiarità sono ben descritte da Richard Newbury, saggista e storico britannico, nel suo “Elisabetta II”: «La stabilità si basa sulla consapevolezza che in precedenza si è sempre adattata ai cambiamenti. Di fatto rappresenta la continuità che collega la discontinuità della politica partitica. Per quasi trecento anni ci sono stati il governo di Sua Maestà e l’opposizione di Sua Maestà. La politica riguarda il confronto e gli interessi particolari. Il Parlamento istituzionalizza la divisione e il conflitto. La Corona rappresenta l’unità nazionale e istituzionalizza la sua cooperazione e il suo consenso. È comprensibile, in quanto ognuno può capire e identificarsi con una famiglia sul trono»
Lilibeth
Londra, Regno Unito, 94 anni fa
Elisabetta Alessandra Maria Windsor viene messa al mondo il 21 aprile 1926 da Elisabetta Bowes-Lyon, moglie del principe Albert, duca di York e conte di Inverness. Nasce al civico 17 di Bruton Street, nel quartiere londinese di Mayfair, una zona centrale così chiamata per l’antica Fiera che nei mesi di maggio qui si teneva dal 1686. Oggi quell’appartamento non esiste più, distrutto dai bombardamenti tedeschi durante la Seconda guerra mondiale. Una targa segnala quel luogo dove oggi sorge un palazzo dalla caratteristica facciata di mattoni rossi, vicino alla deliziosa Berkeley Square. La principessa viene battezzata il 29 maggio 1926 nella cappella privata reale a Buckingham Palace con acqua del Fiume Giordano fatta arrivare appositamente dalla Palestina. Dopo solo otto mesi, rimane sola con le sue balie, perché la giovane duchessa di York, obbligata dai doveri imperiali, parte per un viaggio di Stato in Australia e Nuova Zelanda: sei mesi per una traversata per mare di 50 mila chilometri.
La giovane principessa cresce con il soprannome di “Lilibeth”, educata in casa. Adora i cani e i cavalli. E l’allora Cancelliere dello Scacchiere, Winston Churchill, così la descrive all’età di due anni: «Che carattere... Ha un’aria di autorità e riflessività stupefacente per una bambina». Elisabetta, per volontà della famiglia, non cresce nel lusso, e il suo corredo viene confezionato a mano e ricamato personalmente dalle nonne e dalla mamma. A quattro anni comincia a godere della compagnia della sorella Margaret Rose, con cui di lì in avanti condividerà in ogni occasione pubblica il fatto di indossare gli stessi abiti. Chi si occupa a tempo pieno delle loro giornate, è la governante Marion Crawford, che rimane a Palazzo fino al 1948, vigilia delle nozze di Elisabetta con Filippo.
«Lilibeth era ordinatissima, aveva un forte autocontrollo, anche se un caratterino più spiccato della sorella Margaret. Con lei trascorreva ore giocando», scriverà la Crawford anni dopo nel libro “The Little Princesses”, il racconto dei giorni trascorsi con loro. Una pubblicazione che nel 1950 le permette di guadagnare ben 85 mila sterline, ma che le costa il bando dalla famiglia reale. Il libro è vendutissimo, ma la reazione della regina Elisabetta è furiosa: «Non possiamo che pensare che l’ultima e la più fidata tra le nostre governanti, sia andata fuori di testa. Aveva promesso per iscritto che non avrebbe mai pubblicato nulla».
La vita di Elisabetta è segnata dal destino della Corona. Quando suo zio Edoardo rinuncia al trono, accontentandosi di riprendere il titolo di duca di Windsor, per sposare Wallis Simpson, la donna che ama, Giorgio VI, padre di Elisabetta, diventa re. La sua tenacia, il senso del dovere, l’enorme lavoro compiuto sul proprio carattere e la forza dimostrata nel superare il limite della balbuzie, sono di esempio per lei, che è erede al trono. Seppur in famiglia non si parli dei problemi legati e conseguenti all’abdicazione, Elisabetta intuisce il sacrificio e lo sforzo del padre. Re Giorgio le trasmette il suo modo di immaginare la figura e il ruolo di un monarca. Mentre la madre, la sorridente e bonaria regina Elisabetta, non smette di ripeterle che la ragione di Stato deve avere il sopravvento sui sentimenti privati di re e regine.
Alle 11.15 del 3 settembre 1939, il Primo Ministro Neville Chamberlain, è negli studi della radio nazionale per annunciare che il Paese è in guerra con la Germania. Qualche ora dopo, anche la Francia fa altrettanto. Ha inizio il più grande conflitto armato della storia, la Seconda guerra mondiale. Sei anni di atroci sofferenze, distruzioni e massacri che costeranno 60 milioni di morti.
Sono anni bui e difficili. L’Inghilterra vive nell’incubo dei bombardamenti e di possibili attacchi chimici dei nazisti. Elisabetta ha tredici anni e con sua sorella Margaret allo scoppio della guerra si trova nel Castello di Balmoral nell’Aberdeenshire, in Scozia. Il castello è così freddo che, appena sveglia, Elisabetta trova congelata l’acqua della caraffa che ha sul comodino per la notte. Il suo primo Natale di guerra lo trascorrerà a Sandringham House, per poi essere evacuata per un fine settimana per ragioni di sicurezza al Castello di Windsor. Ci rimane per cinque anni, riparandosi durante i bombardamenti nei sotterranei. In quei giorni Lord Haisham of St. Marylebone, scrive al primo ministro Winston Churchill per consigliare il trasferimento delle principesse in Canada.
La risposta della regina Elisabetta passerà ai libri di storia: «Le ragazze non partono senza di me. Io non abbandono il re e il re certamente non parte». A Windsor, le due principesse rispettano il razionamento di cibo e si adattano alle regole: le vasche da bagno non possono essere riempite oltre i 5 pollici (10 cm), è ammessa una sola lampadina per stanza e non c’è il riscaldamento.
Alle 15 dell’8 maggio 1945, è Churchill a parlare al Paese: la Germania ha firmato la resa incondizionata. Per tutta la notte Londra vivrà la più grande festa che avesse mai conosciuto. Suonano le campane della cattedrale di St. Paul, tutte le case sono adornate da bandiere e coccarde. La gente si accalca ai cancelli di Buckingham Palace, il re Giorgio esce con la sua famiglia al completo per raccogliere gli applausi. Con lui e la regina, per la prima volta in pubblico, le principesse Elisabetta e Margaret. Implorano i genitori di farle uscire tra la folla a festeggiare. Il permesso è accordato. «Povere piccole, fino a oggi non si sono mai divertite», avrebbe scritto il re sul suo diario. Escono in incognito e, scortate da guardie reali in borghese, vivono quella notte come tutti gli altri londinesi, senza che nessuno le riconosca. Elisabetta indossa una divisa militare. «Ero terrorizzata dall’idea che potessero riconoscermi», dirà in una delle sue rarissime interviste, «ma non potrò mai dimenticare quella marea di felicità e sollievo».
Regina su un albero
Kenia, inizio di febbraio del 1952
La principessa Elisabetta e suo marito Filippo duca di Edimburgo sono alla prima tappa di un lungo viaggio ufficiale. Viaggiano tra incantevoli colline, esplorano brughiere, altipiani e boschi, attraversando fiumi popolati di trote. Superata la città coloniale di Nyeri, pernottano nel famoso Treetops. Questo incantevole lodge nell’Aberdare National Park, nato nel 1932 da un’idea di Eric Sherbrooke Walker, proprietario di terre nella zona, che aveva voluto costruire per sua moglie una casa su di un albero. Si tratta di un enorme fico di 300 anni d’età, nelle vicinanze di una pozza d’acqua dove gli animali della savana si abbeverarano. Elisabetta e Filippo vi trascorrono quella notte.
La mattina del 6 febbraio, in Kenya, la 25enne principessa Elisabetta si sveglia molto presto. Assiste dalla sua stanza sull’albero a un combattimento tra due rinoceronti e poi invitata da Michael Parker, il segretario privato di suo marito Filippo, sale su una torre di vedetta, pronta per osservare l’alba. Con le prime luci, un’aquila solitaria passa tra gli alberi, volando basso sopra le loro teste.
In quelle stesse ore, in Inghilterra, re Giorgio VI all’età di 56 anni, passa a miglior vita durante il sonno. La principessa Elisabetta diventava regina. Nel libro dei visitatori del Treetops, Jim Corbett scriverà: «Per la prima volta nella storia del mondo, un giorno una giovane ragazza che si era arrampicata su di un albero da principessa, dopo aver descritto questa sua esperienza come emozionante, il giorno successivo scese dall’albero da regina. Che Dio la benedica».
Sir Winston Churchill, allora primo ministro, viene informato immediatamente da uno dei segretari privati del re, Edoardo Ford. «Primo ministro ho una cattiva notizia. Sua Maestà è morto la notte scorsa. Non so dirle altro». Churchill risponde: «Una cattiva notizia? È il peggio che potesse succedere». John Colville, segretario privato di Churchill, ricorderà: «Quando entrai nella camera da letto del primo ministro, lo vidi seduto da solo con le lacrime agli occhi. Guardava dritto davanti a sé, senza leggere né i documenti ufficiali né i giornali del mattino. Non avevo capito quanto il re significasse per lui. Cercai di rincuorarlo dicendogli che le cose sarebbero andate avanti e bene con la nuova regina, ma rispose che non sapeva nulla di lei e che era solo una ragazzina».
La regina Elisabetta e suo marito, tagliati fuori dalle comunicazioni, apprendono la notizia in ritardo. Quando arrivano al Savana Lodge, nella città di Kiganjo ai piedi del Monte Kenya. È Filippo a dirglielo, dopo averle proposto una passeggiata nel parco. Il maggiore Charteris raggiungerà poi la regina nella sua stanza, trovandola «seduta in modo perfettamente eretto, con l’aria di chi era pronta ad accettare il suo destino». Sarà lui a chiederle: «Quale nome prenderà Maestà?». E lei: «Il mio, naturalmente... Elisabetta».
Ci sono 32 giornalisti al seguito della famiglia reale. Molti vengono svegliati e convinti a partecipare a una conferenza stampa presso l’Hotel Outspan. Quando viene data la notizia, nessuno in sala riesce a dire una parola. Ai fotografi che avevano intanto raggiunto il Savana Lodge, un funzionario reale comunica che la sovrana ha espresso il desiderio di non essere fotografata. In un silenzio irreale, Elisabetta II, lascia il lodge in automobile. «Mentre andava via, prima di sparire in una nuvola di polvere» – racconterà uno dei cine-operatori presenti – «senza che nessuno di noi provasse a immortalare quel momento storico, riuscii a guardare in quel viso di giovane ragazza, quello della regina del Regno Unito, sentendo la sua tristezza. Alzò leggermente la mano per salutare noi che stavamo lì, in silenzio, in piedi, con le nostre telecamere per terra».
Dopo un volo di circa seimila chilometri, durato ventidue ore sull’aereo Atalanta, la regina Elisabetta atterra a Londra alle 16.30 del 7 febbraio ’52. «Il cielo era grigio e l’aria fredda all’aeroporto», avrebbero scritto i giornali, «quando per la prima volta nella storia del Regno, una nuova Regina arrivò dal cielo».
La corona
Londra. Poco più di un anno dopo
«Good Morning, Buon Giorno,... ma non è esattamente la giornata che avremmo sperato di avere, c’è un cielo cupo e coperto che minaccia pioggia e sullo sfondo di questo cielo il vessillo reale sventola dall’alto di Buckingham Palace». Queste le prime parole di Richard Dimbleby, noto giornalista della
Bbc,
a cui venne affidato il commento alle immagini di quel giorno storico: l’incoronazione della regina Elisabetta II. La notte è stata gelida, tra schiarite, folate di pioggia e vento pungente, ma non ha scoraggiato i britannici in attesa della loro sovrana.
Sono tre milioni nelle strade del centro di Londra, impassibili, sotto una pioggia che a tratti cade a rovesci e senza ombrelli, come ha consigliato il Coronation Accommodation Bureau. Quella gente è il cuore dell’evento. Un’attesa paziente ed estenuante solo per catturare un attimo: il sorriso della loro regina mentre attraversa il centro di Londra nella sua carrozza da fiaba. Sicuramente i più comodi sono quanti sono riusciti ad accaparrarsi un posto nelle tribune color oro e azzurro, spendendo sino a 50 ghinee, circa centomila lire di allora. L’abbazia di Westminster che aveva aperto alle 6 del mattino per accogliere i circa 8 mila invitati, alle 8 è già piena. Il canto all’unisono del coro Vivat Regina! accoglie Elisabetta. Dritta, solenne, con le mani giunte all’altezza del cuore, portava sull’abito un lungo mantello porpora ricamato finemente in oro. Il decano di Westminster intinse le dita e declamò: «E come Salomone fu unto re da Zadok il prelato e da Nathan il profeta, così tu sei unta, benedetta e consacrata regina». L’arcivescovo di Canterbury unge le mani, il petto e la testa del Sovrano inglese, esattamente come fa il Sacerdote con i Re d’Israele. Durante l’Unzione, il coro dell’abbazia di Westminster intona il celebre Zadok the Priest composto da Hendel. Dopo aver ricevuto i simboli del potere regio, alle 12.33 con gesto solenne, Geoffrey Francis Fisher, presa dal cuscino la corona di Sant’Edoardo, la solleva in alto e la depone sul capo della sovrana. La forma circolare della corona indica la perfezione che la regina deve avere nel governare. In quel momento, principesse, principi, ladies e lord si pongono sul capo le loro coroncine e nelle navate di Westminster si sente il grido: «God Save the Queen!... God Save the Queen!... God Save the Queen!».
La Principessa del popolo
Quarantaquattro anni dopo, Westminster Abbey
In quello stesso luogo in cui era stata incoronata, la regina Elisabetta II avrebbe vissuto uno dei momenti più tristi di quella che sarà la più grande crisi del suo regno. Quando Diana muore, Carlo è a Balmoral, in quel castello dove Diana aveva posato per i fotografi accanto a lui, come promessa sposa dell’erede al trono del Regno Unito. Rimane al telefono tutta la notte. Poco prima delle cinque del mattino, anche i principini William e Harry sanno che la loro mamma era morta. «Solo per loro», aveva dichiarato Diana proprio una settimana prima a
Le Monde,
«solo per amor loro continuo a rimanere in Inghilterra». Dopo qualche ora, parteciperanno con la nonna, la Regina Elisabetta, il padre, principe di Galles, il nonno, principe Filippo di Edimburgo e la Regina Madre, alla messa nella piccola chiesetta di Crathie vicina a Balmoral.
La tragica scomparsa di colei che dopo qualche mese, secondo la stampa britannica, sarebbe potuta diventare la nuora di Mohammed Al Fayed, oltre che coinvolgere emotivamente e politicamente il governo inglese e il neoeletto primo ministro Tony Blair, mette a dura prova il protocollo “di Corte” e sembra travolgere la popolarità stessa della Corona. Elisabetta II, erede della tradizione vittoriana, aveva subito con sofferenza la separazione di Diana dal principe Carlo e la controversa storia della principessa con Dodi Al Fayed. Mentre una processione interminabile di gente comune deposita mazzi di fiori per Diana davanti ai cancelli di Buckingham Palace e attende in coda, per ore e ore, pur di firmare a St. James Palace i libri di condoglianze, la regina sceglie di vivere quei momenti nel lontano castello scozzese di Balmoral. Elisabetta, incapace di esprimere pubblicamente il proprio cordoglio, non riesce neanche a far esibire la bandiera a mezz’asta sul Palazzo Reale, secondo la tradizione che vuole che la bandiera non sia innalzata se la regina non è presente.
In quelle ore, Elisabetta, per la prima volta, sembra subire la forza di quella tradizione, che finisce per congelarne i comportamenti e i sentimenti. Quei valori monarchici, così veri e imprescindibili per lei, sembrano per la prima volta, per tanti britannici, inadeguati. Quanto accaduto in quel tunnel a Parigi, rappresenta il punto più critico del regno della sovrana di Windsor. La perdita della “Principessa del popolo”, come l’aveva definita Blair, viene cavalcata dalla stampa per sottolineare la lontananza della regina dai suoi sudditi.
“Dov’è la regina?”, si chiede con un titolone in prima pagina il
Sun.
“La tua gente sta soffrendo. Parlaci, regina”, supplica il
Mirror,
mentre l’ Express sollecita la sovrana a mostrare più partecipazione. Il
Mail,
da
 
sempre baluardo della monarchia e dell’impero, la invita a mettere perlomeno la bandiera a mezz’asta. Anche la Bbc si unisce. Paul Reynolds, il corrispondente storico della televisione pubblica da Buckingham Palace, ammonisce: «Credo che ci si debbano porre molti interrogativi sul futuro della monarchia e sul suo stile». Buckingham Palace comunica che la Regina sarebbe rientrata a Londra, avrebbe presenziato ai funerali che sarebbero stati pubblici, come Blair aveva più volte consigliato, ma non di Stato, e che la bandiera reale, nonostante la tradizione, sarebbe sventolata a mezz’asta sul pennone più alto di Buckingham Palace. Si chiarisce nell’occasione che il funerale di Stato, massima onorificenza funebre prevista nel Regno Unito, è appannaggio solo dei sovrani, degli eredi al trono e degli “eroi nazionali”.
Elisabetta II ha optato per quello che il protocollo chiama “funerale reale cerimoniale”, di norma riservato ai membri della famiglia reale, da cui Diana è stata formalmente estromessa dopo il divorzio da Carlo, facendole perdere l’appellativo di “altezza reale”. Anche Lord Robert Norman William Blake, Baron Blake, storico costituzionalista inglese, suggerisce alla sovrana di parlare alla tv alla sua gente. E così accade.
Queste le sue parole in diretta televisiva il 5 settembre 1997, alla vigilia dei funerali della principessa: «Dalla terribile notizia di domenica scorsa abbiamo assistito in Gran Bretagna e in tutto il mondo alla travolgente espressione di tristezza per la morte di Diana. Tutti noi abbiamo cercato, nei nostri differenti modi, di affrontare la vicenda. Non è facile esprimere il significato di una perdita, dato che la prima sensazione di shock è spesso seguita da un misto di sensazioni differenti: incredulità, incomprensione, ira e preoccupazione per coloro che restano. Noi tutti abbiamo provato queste emozioni in questi ultimi giorni, quindi ciò che vi dico ora, in quanto vostra regina e in quanto nonna, lo dico dal profondo del mio cuore. Prima di tutto voglio rendere io stessa omaggio a Diana».
Nell’abbazia di Westminster, il 6 settembre del 1997, vengono celebrate le esequie della principessa. Seguiti in tv da oltre due miliardi di persone, i funerali di “Lady D” sono uno degli eventi televisivi più visti della storia. Tre milioni di persone per le strade di Londra, con le tv di tutto il mondo a dar voce a quella gente: “Era una santa, non solo una principessa”, “Era una stella, diventerà un angelo”, “Ho il cuore spezzato, davvero”, “Ho pianto tutta la notte”, “Dal paradiso, sono sicura, ci sta guardando”, “Vorrei che i suoi figli crescessero come lei, ai miei insegnerò la sua vita”, “Mi manca…”, “Dopo tutto il bene che ha fatto, la morte l’ha rapita”.
Uno dei momenti più commoventi della funzione è quando Elton John intona “Candle in the Wind”, una versione, modificata per l’occasione, della celebre canzone dedicata a Marilyn Monroe dopo la sua morte. Le prime lacrime solcano le guance dell’elegante quindicenne principe William e quelle di suo fratello Harry.
“Addio, rosa d’Inghilterra, possa tu crescere sempre nei nostri cuori.
Eri la grazia che si posava dove le vite erano straziate.
Esortavi il nostro paese e sussurravi agli afflitti.
Ora appartieni al cielo e le stelle pronunciano il tuo nome.
E mi sembra che tu abbia vissuto la tua vita come una candela nel vento Mai evanescente nel tramonto quando scendeva la pioggia.
E i tuoi passi si poseranno sempre qui, sulle più verdi colline d’Inghilterra.
La tua candela si è spenta molto prima di quanto mai farà la tua leggenda”.
Diana giace oggi ad Althorp, in Northamptonshire, fra gli alberi, su un’isoletta chiamata Round Oval, nel mezzo di un laghetto. Nella cripta di famiglia, nella chiesetta di St. Mary the Virgin, le riposa accanto suo padre.
«Tutti i giorni, molti passanti si fermano davanti al palazzo e alzano gli occhi verso le sue finestre, con la vaga speranza di cogliere qualcosa della realtà che vi si cela. E spesso, in quel momento, la regina li osserva a sua volta da dietro le tende, come volesse lei stessa penetrare nel loro mondo». Così Bertrand Meyer nel suo “La vie quotidienne à Buckingham”, descrive la magia e il fascino di Buckingham Palace, dove Elisabetta II trascorre la maggior parte dei suoi giorni. Le sue giornate cominciano di primo mattino, quando una dama apre le tende nella sua stanza da letto. A colazione, pane tostato con marmellata e una tazza di Earl Grey, una varietà di tè che prende il nome da Charles Grey, II conte Grey, primo ministro del Regno Unito dal 1830 al 1834. Le prime notizie da una piccola radio a pile sintonizzata su Radio 4 della
Bbc
e uno sguardo ai giornali, con il Racing Post, popolare giornale dedicato alle corse dei cavalli, in cima alla mazzetta.
Alle 10 Elisabetta II entra nel suo studio, fa telefonate e inizia a leggere alcune delle tantissime lettere che quotidianamente riceve posate su vassoi d’argento. La maggior parte delle ore della mattinata trascorrono alla scrivania, per prendere visione dei documenti governativi nell’immancabile valigetta rossa.
Edward Young, attuale segretario privato, è il primo visitatore a essere ammesso nello studio. Compito del “private secretary” è pianificare il programma della regina, organizzare le visite reali nel Regno Unito e all’estero, preparare i discorsi, organizzare gli archivi reali, la segreteria del palazzo e il servizio stampa. È l’uomo con maggiore influenza sulla sovrana, predispone il suo calendario, provvede a informarla su tutto e consigliarla. Funge da intermediario tra la regina e il governo e si occupa degli appuntamenti e delle questioni costituzionali e politiche. Re Giorgio V, del suo segretario privato, Lord Stamfordham, diceva: «Mi ha insegnato a fare il re». Dopo di lui è il turno del maestro della casa, che fa il suo ingresso dopo un inchino. Super amministratore, è l’uomo di riferimento per il personale e il grande organizzatore dei ricevimenti.
Il “master of the Household” ha con se il menù book, in pelle rossa con una matita segnalibro. La regina semplicemente cancella quello che non desidera. Per il pranzo a Elisabetta piace adoperare un semplice servizio da tavola, sostituito per le grandi occasioni o nelle cene ufficiali, da uno splendido vasellame in oro con gli stemmi reali. Pomeriggio dedicato alle visite ufficiali, oramai sempre più rare, in compagnia della sua dama d’onore.
L’ora del tè
Alle 16.30 è il momento di un tè pomeridiano, accompagnato da dolcetti caserecci, biscotti, torte e focaccine calde, che spesso la Regina non manca di far gustare ai suoi adorati corgi. Il pomeriggio alle 18.30 arriverà da Westminster un rapporto sugli atti parlamentari della giornata. Ogni settimana, quando il Parlamento è in sessione, la regina riceve a Buckingham Palace in udienza privata il primo ministro. Un tempo l’orario previsto dall’agenda era quello delle 17.30, ma quando Elisabetta salì al trono, i principi Carlo e Anna avevano rispettivamente quattro e due anni e la regina non voleva mancare al loro bagnetto. Chiese a Winston Churchill, allora premier, che fu per lei quasi un padre adottivo, se fosse possibile posticipare l’incontro di un ora. Churchill acconsentì senza problemi e da allora tutti i primi ministri che seguirono si adeguarono al cambiamento d’orario. Non si tratta di una semplice formalità e il primo ministro solitamente si presenta ben preparato per il colloquio, dopo aver letto a fondo gli incartamenti. L’ex premier laburista, Tony Blair, disse un giorno: «Nei numerosi incontri che ho avuto con Sua Maestà dal 1997, ho sempre avuto modo, come i miei predecessori, di esserle grato per la sua saggezza, il buon senso e l’esperienza, con cui affronta i temi all’ordine del giorno».
Quando la giornata volge al termine, la sovrana sale nella sua camera, fa un bagno e si cambia d’abito per la cena, per poi trascorrere la serata in famiglia davanti alla tv o più raramente guardando un film nella sala cinematografica del palazzo. Verso lo scoccare della mezzanotte, prima di coricarsi, annota su un quaderno rilegato le impressioni della giornata.
Quel giorno il Royal Standard non sventolerà a mezz’asta
Londra, Buckingham Palace, City of Westminster
«Quando morirà la regina si assisterà a un dolore come mai accaduto prima nella Storia. Il popolo britannico sarà addolorato per la scomparsa di una persona che ha rappresentato un punto di riferimento della loro vita». Così in “The Royal House of Windsor”, documentario prodotto dal Canale inglese Channel 4, lo storico e scrittore Piers Brendon immagina l’epilogo dell’epoca che ricorderemo come “nuova età Elisabettiana”.
La Corte di San Giacomo darà il via a “the bridge”, il nome in codice con cui è definito il protocollo di quanto va fatto in caso di morte del sovrano, dall’accertamento del decesso sino all’incoronazione del successore. Presso la residenza reale di St.James’s Palace, il Privy Council Office riunirà l’Accession Council, che proclamerà ufficialmente il nuovo re con il nome di regno da lui scelto. Le Camere e la Borsa saranno chiuse, le televisioni modificheranno i loro palinsesti e tutti avranno modo di salutare la regina per l’ultima volta a Westminster Hall. Dopo dodici giorni la cattedrale di Westminster ospiterà quello che sarà ricordato come il funerale più seguito della storia, officiato dall’arcivescovo di Canterbury. Elisabetta sarà poi sepolta nel luogo da lei stabilito per tempo, potrebbe essere accanto a suo padre, nella St George’s Chapel del Castello di Windsor, a Sadringham o a Balmoral in Scozia.
Nella tradizione il Regno non può mai essere senza sovrano, Carlo sarebbe re dal momento preciso della morte di sua madre. È questo il motivo per cui il Royal Standard non ha mai sventolato a mezz’asta. Carlo giurerà fedeltà al Parlamento e dopo un lungo periodo di lutto sarà incoronato. Sarà il nuovo governatore supremo della Chiesa d’Inghilterra, mentre suo figlio William, il nuovo principe di Galles, l’erede al trono. Comincerà per il Regno Unito una fase di numerosissimi cambiamenti tra l’altro costosissimi, che “Business Insider” stima in miliardi di sterline. Una nuova moneta sarà stampata e coniata, i ritratti del nuovo sovrano, già pronti, cominceranno a circolare, saranno emessi nuovi francobolli, corrette le parole dell’inno nazionale da “God Save the Queen” a “God Save the King”, modificati i passaporti, le insegne, le cassette postali, le cabine telefoniche, le mostrine dell’esercito e della polizia, tutto quanto insomma oggi reca le cifre EIIR.
La scomparsa di Elisabetta potrebbe persino significare la fine del Commonwealth come lo conosciamo oggi, un’organizzazione che non solo ha un grande valore simbolico, ma abbraccia il mondo comprendendo economie avanzate e in via di sviluppo, con una popolazione complessiva di 2,2 miliardi e un PIL combinato di 6,9 miliardi di sterline. Ai britannici Elisabetta II mancherà terribilmente, la sua perdita un grande shock vissuto con la speranza che il nuovo re possa riuscire a raccogliere quella pesante eredità. Il 2 giugno 1969 il principe Carlo concede la sua prima intervista televisiva a David Frost, famosissimo presentatore inglese. In quell’occasione si disse convinto che «Il servizio alla patria significa concedersi al popolo, specialmente se sei ben accetto, ma anche quando non lo sei. Se senti di poter fare qualcosa, anche se il popolo pensa che il tuo intervento non sia utile, ma tu ti credi nel giusto, allora sei al servizio della patria». Le trasformazioni della Corona a cui potremmo assistere in un possibile regno di Carlo III, ipotesi basate su esternazioni e comportamenti del principe di Galles in più di sessant’anni, non sembrerebbero entusiasmare la regina, che teme una reggenza più invasiva della cosa pubblica, che si allontani dal solco neo-elisabettiano preferito dai britannici. «L’unione giuridica e spirituale degli uomini di razze, credi e classi differenti che chiamiamo una nazione, pur se talvolta la diamo per scontata, è un miracolo più straordinario del più grande ritrovato scientifico. Il suo simbolo è la Corona. Permette a milioni di persone che non si sono mai visti di agire insieme in una collaborazione pacifica e reciproca e li rende contenti e orgogliosi di farlo. Non può esserci un servizio più vero per l’umanità di preservare una tale unione». Così scrisse il celebre storico inglese Sir Arthur Wynne Morgan Bryant, editorialista de “The Illustrated London News”, nei giorni che precedevano l’incoronazione della regina Elisabetta II. Che Dio salvi il re!
 
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