Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  maggio 17 Lunedì calendario

Intervista a Paola Egonu

Cosa non abbiamo ancora capito di lei, Paola?
«Che sembro una pantera e invece, sotto sotto, sono una bambina di 22 anni che desidera persone vere al suo fianco, che ogni tanto ho i miei momenti di debolezza e allora mi prende la voglia matta di stare a letto tutto il giorno, senza fare nulla».
Un’ora con Paola Egonu – la pallavolista più forte dell’orbe terracqueo, veneta, 189 centimetri per 79 chili, colpisce il pallone a 3,44 metri da terra, numero 46 di scarpe —, a zonzo tra pensieri e parole di un’anima libera, è un’avventura che non segue sentieri noti. Le chiedi cosa sta facendo in una pigra domenica di maggio, a stagione finita, e ti parla del platano fritto che adora (ricette incluse), vuoi sapere come è stata la sua infanzia e ti racconta della zia suora, ipotizzi che possa portare la bandiera dell’Italia ai Giochi di Tokyo e si finisce, con una svolta imprevista, a discettar d’amore. Paola è come gioca. Una potenza. Energia pura, un flusso ininterrotto che si condensa in materia anticonvenzionale. Basta alzarle la palla, a schiacciarla ci pensa lei.
Cosa ha preso da Ambrose e Eunice, i genitori che emigrarono in Italia dalla Nigeria?
«Fisicamente sono papà: alta, longilinea, forte. Anche di viso, gli somiglio moltissimo. Vorrei avere la sua compostezza nei momenti difficili, la dote di non perdere mai la lucidità. E invece, emotivamente, sono tutta mamma: ho ereditato il suo lato sentimentale, l’empatia, la lacrima facile».
Piange spesso?
«Mi capita, però amo più ridere. Quando guardo le serie K-drama coreane, per esempio, di cui vado pazza, una passione condivisa con mia sorella Angela. Dieci puntate per darsi un bacio, intanto non succede mai niente: mi piace l’idea asiatica della lentezza, quell’essere un po’ alieni e stralunati, come me».
L’elogio della lentezza, un concetto agli antipodi rispetto all’adrenalina e alla concitazione di una partita di volley.
«Esatto. La mia giornata di relax ideale è orizzontale, a letto. Caffè tra le lenzuola, serie tv a raffica, Tik Tok, video buffi, telefonate ai miei e alle amiche... Sono capace di non alzarmi per ventiquattrore filate».
Da bambina, a Cittadella, com’era, Paola?
«Sempre in movimento. Una mattina, avrò avuto 8 anni, vado da Ambrose: papà, voglio diventare suora come la zia Loreto, gli dico. Avevamo l’abitudine di passare almeno una settimana all’anno a Roma con lei in convitto, travolgevo la zia di domande sui grandi temi della vita e lei sapeva rispondere a tutto: i riti della comunità religiosa mi affascinavano».
Ha finito per scegliere uno sport di squadra, non a caso. Suo padre cosa rispose?
«Va bene Paola, okay, tanto domani avrai già cambiato idea! È andata così, infatti».
Meglio per noi: quest’anno con Conegliano ha vinto tutto e ad agosto c’è il tabù dell’oro olimpico da sfatare.
«Mi piace pormi obiettivi alti. Con Daniele Santarelli, coach a Conegliano, avevamo stretto una promessa: lui mi aiutava a vincere lo scudetto, io lo aiutavo a vincere la Champions».
Miglior giocatrice in Europa con 40 punti (il suo record è 47). Posso fare meglio, ha detto alla fine.
«Dopo ogni partita mi faccio sempre un piccolo esame di coscienza: mi rivedo, esamino gli errori, spesso mi arrabbio. In finale contro Istanbul ho sbagliato l’ultimo punto del terzo set: tragedia! Sono una perfezionista in tutto. Anche all’Università: se non mi sento super preparata, non do l’esame. Devo sapere tutto, non mi accontento».
Perché ha rifiutato l’offerta di un milione di euro per andare a giocare in Turchia?
«Perché non sono pronta ad andarmene. Non con i palazzetti vuoti, senza tifo né festa. L’Olimpiade sarà ancora nella bolla ma l’anno prossimo sarà diverso, spero. Più avanti valuterò l’esperienza all’estero».
L’impatto dei suoi genitori con l’Italia fu traumatico?
«Non ho mai sentito racconti tristi. I miei erano molto giovani quando lasciarono la Nigeria per ripartire da zero in Italia. Fu una scelta di sopravvivenza per aiutare i genitori e i fratelli, senza perdere tempo a piangersi addosso. Questo mi dimostra il coraggio che hanno avuto. E non si sono fermati: oggi vivono a Manchester».
Ero innamorata di una collega, non significa che non potrei esserlo di un ragazzo. Da piccola volevo fare la suora. In campo attacco sempre, fuori starei a letto tutto il giorno
Il suo rapporto con l’Africa?
«Fino all’arrivo della pandemia sono andata in Nigeria almeno ogni due anni. Da parte dei sette fratelli di papà ho 18 cugini, dei cugini da parte dei sei fratelli di mamma confesso che ho perso il conto...».
Come ci si divide tra la cultura italiana e quella africana?
«Non è una domanda banale, perché io sono un mix difficile da spiegare. Diciamo che quando sono strana o folle o buffa per le mie amiche italiane sono tipicamente nigeriana e per le mie amiche nigeriane sono tipicamente italiana!».
E se le amiche nigeriane le chiedono che mestiere fa in Veneto, cosa risponde?
«Nella squadra sono quella che attacca sempre, anche perché non sono capace di fare altro! Super aggressiva, però fuori dal campo mi trasformo. Macché tigre: amo stare con me stessa, il massimo che reggo in compagnia sono un paio d’ore. Poi time out, ragazze, vi saluto, ciao».
Paola lei sembra una donna libera, ed è questo il suo fascino più grande. Che cos’è la libertà per lei?
«Esprimermi per ciò che sono e sento senza essere etichettata».
Quindi lei non è omosessuale.
«Esatto, non lo sono. Ho ammesso di amare una donna (e lo ridirei, non mi sono mai pentita) e tutti a dire: ecco, la Egonu è lesbica. No, non funziona così. Mi ero innamorata di una collega ma non significa che non potrei innamorami di un ragazzo, o di un’altra donna. Non ho niente da nascondere però di base sono fatti miei. Quello che deve interessare è se gioco bene a volley, non con chi dormo».
Ha un amore, oggi?
«No, non c’è. Io sono una pazza che si innamora a prima vista, bang, in due secondi. Non sto lì a pensarci, parto come un treno. Poi prendo anche i miei bei due di picche, batoste micidiali, però almeno me la vivo al cento per cento, senza rimorsi. Devo dire che l’idea del grande amore non mi fa impazzire: mi interessa ciò di cui ho bisogno in una certa fase della mia vita, non deve per forza essere per sempre. Però sono incoerente perché credo che il matrimonio sia un’istituzione fantastica. Boh, forse ho le idee un po’ confuse...».

Ha votato alle Politiche del 2018?
«No perché ero via con la Nazionale. Ma prima di votare vorrei informarmi, essere perfettamente consapevole di chi voto e perché lo faccio. Sennò non me la sento».
Ha già deciso il look olimpico?
«Extension di sicuro: lunghe, colore naturale, quindi scure. Unghie pendant. Mai più bianche: ho provato e mi stanno malissimo».
Miriam Sylla capitano dell’Italia, palermitana di genitori ivoriani e sua grande amica, è una buona idea?
«Il c.t. Mazzanti ha visto in lei qualità di leader, e sono d’accordo. Ma in campo siamo tutte un po’ capitane».
Paola, lei sarebbe nella short list del Coni per il ruolo di portabandiera dell’Italia ai Giochi di Tokyo: la decisione giovedì.
«Sarebbe fantastico, un onore pazzesco. Wow, poi potrei morire anche subito! Mi piacerebbe prendermi sulle spalle questa responsabilità, davvero: io, di colore, italiana e la bandiera. L’ignoranza e certe cose del passato hanno bisogno di un taglio netto. Sono pronta. Facciamola, bum, questa rivoluzione!».