la Repubblica, 17 maggio 2021
Egan Bernal è lo scalatore più forte
CAMPO FELICE (AQ) – Con lo sguardo perso da qualche parte tra la montagna e il computerino di bordo, la pelle dello stesso terreo colore della strada appena scalata, sgranata anzi a colpi di piccone, più che di pedale, Egan Bernal si è messo alle spalle tutto il Giro e molte altre cose, alcune belle, altre brutte, e ora guarda tutti dall’alto, inevitabilmente.
Adelante adelante : «Mi ha passato con la velocità di un razzo», dice Koen Bouwman, fino all’attimo fatale in testa alla corsa. Lo sterrato finale, 1550 metri orridi, ha messo ognuno al proprio posto e ha fatto piangere proprio lui, Eganito: «Non pensavo di aver vinto, non sapevo quanti corridori avessi davanti, ero talmente concentrato su me stesso da essere entrato in un mio mondo privato. Mi sono detto “quattro minuti a tutta devi durare”, e così è stato. Mi ha convinto la squadra a provarci, loro ci credevano assai più di me. Sappiamo che lo sterrato fa sempre in qualche modo la differenza, ma non sapevo cosa aspettarmi. E alla fine, quando ho capito, ho pianto due volte». La differenza non è stata netta: alle sue spalle, a 7”, un meraviglioso Ciccone e il russo Vlasov sono stati i primi dei battuti e sembrano loro, con Evenepoel (10” persi), gli unici in grado di tenere il colombiano a distanza di uno sguardo. La classifica è corta, in dieci sono in 1’01”, Ciccone ora è 4° a 36” e d’ora in poi, per lui, inizia un Giro con una consapevolezza diversa, da jolly a capitano vero della Trek, con Nibali che mastica amaro in fondo ai suoi 2’12” di ritardo.
Nel breve passato dell’ancor giovane Bernal ci sono il Tour de France vinto nel 2019, ma anche quello di pura sofferenza del 2020 e i dolori alla schiena causati da una differenza di lunghezza tra le due gambe, un problema non troppo raro che il colombiano curava al tempo dell’Androni con un plantare e adesso con massaggi e fisioterapia fino a pochi minuti prima del via. «Ora sto bene, spero che continui così fino a Milano» l’ammissione di fragilità, il dubbio che lo tormenta. È lo scalatore più forte, ma il Giro si vince a forza di incastri perfetti tra corpo e spirito, corazón e juicio. È il colombiano più europeo che si sia mai visto, «il più forte che abbia mai avuto e scoperto» dice Gianni Savio, che lo portò nella sua Androni nel 2016 e lo allevò per due anni nel Canavese, tra Cuorgnè e Buasca, la valle dell’Orco e il lunare Colle del Nivolet. «È venuto da noi per una settimana, a febbraio» racconta Roberto Martino, titolare della Ciclofficina di Rivara e una delle anime del Fan Club canavesano, «sta bene di testa e di gambe, chi volete lo vinca questo Giro, se non lui?». È nato il 13 gennaio, come Marco Pantani, aveva la sua foto in camera, ha anche conosciuto mamma Tonina. Ogni scalatore ha quel mito, anche se Egan, classe 1997, del Pirata può ricordare poco. Ma Youtube esiste anche per questo.
La fidanzata Maria Fernanda, laureata in veterinaria a Bogotà, lo segue da Torino, ma i due, a causa dei protocolli Covid, possono vedersi poco. Però si sentono e si tengono compagnia nelle lunghe serate che i corridori trascorrono per gran parte sui pullman nei lunghi trasferimenti e poi ai massaggi. Bernal è nato a Zipaquirà, a 2650 metri, nella cosiddetta Savana di Bogotà, tra cime selvagge e miniere di sale. Ha fatto mountain bike, prima della strada, e quell’abitudine gli è tornata utile mentre risaliva accanto alla pista Scorpione di Campo Felice, dove finora solo i gatti delle nevi, quando di neve ce n’è – ieri solo pioggia sottilissima e vento che tagliava le mani -, avevano osato sfidare la gravità. «Ma è stata una vittoria più di testa. Volevo la maglia rosa. Anche per un giorno solo, mi basterebbe». Non sarà un giorno solo, e comunque non gli basterebbe.