la Repubblica, 17 maggio 2021
Nadal, l’imbattibile
ROMA – Sedici anni di abuso di potere. Dieci volte Roma. E tredici Parigi, e dieci Montecarlo, e dieci Barcellona. Sul ponte del Centrale del Foro Italico si sventola bandiera bianca quando gioca Rafael Nadal che si diverte a scorare gli avversari. “Siete come sabbie mobili tirate giù”, sembra di sentire Battiato, e un giorno forse scopriremo qual era quel suo “carisma e sintomatico mistero” con la terra rossa, e capiremo, forse, perché fosse così imbattibile su questa superficie.
Nadal ha trionfato a Roma, Novak Djokovic ha dovuto rendergli omaggio dopo due ore e quarantanove minuti: 7-5, 1-6, 6-3. Mai nessuno come Rafa. Nemmeno Borg. Ed è inutile andare più a ritroso, nella storia del tennis, cercare confronti e paragoni: lasciamo le altre leggende in pace. «Mi ricordo di quel 2005, cinque ore in campo...» ha detto Rafa durante la premiazione. La sua prima volta, era un 2 maggio: non l’avrà dimenticato nemmeno il povero Guillermo Coria detto Il Mago, l’argentino sconfitto al quinto set da Nadal non ancora diciannovenne. E vogliamo ricordare anche il precedente del 2006, che ancora fa piangere oggi per un lutto non del tutto elaborato? Roger Federer non poté scrivere il suo nome nell’albo d’oro di Roma per quel ragazzaccio dai capelli lunghi e la canotta irriverente.
Oggi i capelli sono radi, la canotta è diventata una t-shirt color viola/ fucsia. Sono rimasti i tic (nessuno è perfetto), ma soprattutto la passione, l’umiltà, la voglia di sacrificio. Ha ragione Djokovic nel rispondere con l’ironia che non gli difetta mai (neanche dopo una sconfitta così) all’ennesima domanda sulla ‘Next Gen’: «Siamo noi vecchi la Next Gen» (mentre Nicola Pietrangeli lo implora di essere inserito nella lista). I giovani? Restino comodi in sala d’attesa.
Il serbo ha altro a cui pensare: ieri ha provato a disarmare lo spagnolo, ma il suo dritto è migliorato nelle ultime due settimane. I due si sono annusati, rispettati, poi hanno cercato di intrappolarsi inseguendo strategie e infine, quando si è trattato di fare a pugni, giocare di muscolo e liberare forza pura, ecco che il Re di Roma si è sbarazzato delle zavorre mentali e si è involato verso il trionfo a doppia cifra. Djokovic ha fatto buon viso: «Ho trovato il mio gioco, ora devo solo mantenerlo e portarlo al top a Parigi».
Ma l’abuso di potere di Rafa continuerà. Perché non si vede chi possa arrestarlo, questo mancino malato di sport, l’unico nella storia ad essere stato numero uno in tre diversi decenni (2000-2009, 2010-2019, 2020...), e perché lui vuole, fortissimamente vuole: «Amo Roma, qui ho vinto per la prima volta un torneo importante. È uno dei miei luoghi preferiti». Poi c’è Parigi, ma quello è uno Slam, altra storia.
Nadal ama le coppe, la competizione, le vittorie. «Certo che mi piace averle, mi danno fiducia». È per i trofei che ha superato infortuni che avrebbero abbattuto persone con ben altra tempra: lesioni alle spalle, fratture da stress, tendiniti e rotture dei tendini, anche delle ginocchia, problemi alla schiena. Ha superato, e digerito, perfino le conseguenze psico logiche di non potersi esprimere al cento per cento della sua forma.
Lo ricorderete in azione alle sue origini, con quel suo movimento che sembrava un gancio da macellaio, aveva colpi di una violenza inedita sui campi da tennis. Oggi quei movimenti sono storia, video di cultura. Adesso Rafa Nadal soffre da comune mortale, viene messo alle corde (ha annullato due matchpoint a Shapovalov agli ottavi), ma la sua applicazione maniacale è ancora inarrivabile. Anzi, un abuso inarrestabile.