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 2021  maggio 17 Lunedì calendario

Roma nell’era del cinghiale


Da che mondo è mondo, e da che immaginario è immaginario, l’apparizione di animali selvatici indica qualcosa che sta dietro e sopra, ma anche sotto la crosta della realtà sociale. Da questo particolare punto di osservazione, ovviamente facoltativo, era già da un bel po’ di tempo che il cinghiale, nella sua irsuta e ipnotica presenza, reclamava almeno a Roma una certa attenzione, ottenendone in abbondanza soprattutto nello specchio dei social, con numerosi avvistamenti e continui filmati. Cinghiali singoli e in branco intorno ai cassonetti, oppure a rinfrescarsi sotto il getto d’acqua delle fontanelle, tra semafori e carrozzine, nel vivo della metropoli, pronti quasi a diventare elemento abitudinario del paesaggio capitolino, come un tempo i gatti (del resto spariti). Mesi fa si è visto su Instagram un video molto divertente girato in notturna da un’automobile a Monte Mario: un cinghialotto che si faceva i fatti suoi su un marciapiede fra due corsie, “non ce posso credere!” diceva una voce femminile; fatto sta che più la macchina si avvicinava alla bestia, più la voce trasmetteva un tono di crescente allarme: “Amò! Amò!...”, ma ormai era tardi perché lui, “Amò”, il regista-guidatore, per riprendere meglio il cinghiale – bòm – aveva tamponato l’auto davanti.
Un po’ come nel Medioevo, il bestiario social diffonde anche immagini che risultano insieme plausibili, irreali, illusorie e fake. Così è girata per la rete una foto di alcuni cinghiali che procedevano in fila indiana sotto i platani del Lungotevere, all’altezza dell’Isola Tiberina, là dove, secondo una celebre canzonetta, “le coppie fileno, li baci scrocchieno”. E tuttavia il branco che l’altro giorno, con tanto di graziosi cuccioli striati, ha messo in mezzo una signora per rubarle la spesa nel parcheggio di un supermercato di Formello, non solo era vero, ma forse si candida a segnalare un esito per certi versi simbolico.
O almeno, sempre con il soccorso della musica: “Spero che ritorni presto l’era del Cinghiale bianco” cantava nel 1979 Franco Battiato. Ecco, a 42 anni di distanza, ci si sente autorizzati a ritenere che quella speranza, fatto salvo il colore bruno dei porci selvatici nostrani, si stia in qualche modo avverando.
Ora, da quel che è possibile ricostruire, il cantante e poeta siciliano si riferiva all’alternarsi delle successioni cicliche della mitologia indù. Ma si sa come vanno queste ricerche: dal Paleolitico superiore, vedi le primissime pitture rupestri, fino al supermarket di Roma Nord, dallo Zodiaco giapponese alla caccia terminale a Bettino Craxi, il cinghiale o cinghialone che sia assomma su di sé una tale densità e varietà simbolica da significare tutto e il contrario di tutto: autorità spirituale, audacia, avidità, culto druidico, sporcizia, sacrificio, magia demoniaca, a parte la poco simpatica fama conquistatasi nei riguardi di campi, frutteti, vigneti e poi sulle strade, non essendo la cosa più invitante trovarsi una famigliola dietro la curva e magari di notte. Per cui: boh. Sennonché, rimanendo con gli occhi aperti e i piedi per terra, l’invasione sembra piuttosto aver a che fare con i più recenti scombussolamenti arrecati dall’uomo alla natura; veri e propri sconquassi ai quali nell’Urbe si aggiunge, a partire dall’esperienza amministrativa del prode Alemanno e del suo amico Panzironi, la più sospetta incuria rispetto alle discariche e l’indubbia mala gestione dell’azienda dei rifiuti, la famigeratissima Ama. Anche per questo l’impressione è che l’era del cinghiale abbia pure un qualche risvolto di ordine elettoralistico, sia a carico della sindaca Raggi, che ne ha subìto l’escalation senza fare nulla, sia intrecciato al nuovo e sempre più evidente conflitto fra animalisti vegani e suprematisti difensori dell’ordine carnivoro – vedi i fiori e le candele fuori il cancello del Parco di Valle Aurelia in memoria di mamma cinghiala e dei suoi cuccioli fucilati.
Eppure, ben al di là dell’effetto circo, quando gli animali si prendono la scena si avverte lo stesso qualcosa che la razionalità stenta a fronteggiare.
Un enigma in prestito, un sogno selvatico, forse una riserva di turbamento che interroga gli umani su un destino che non riescono più a esprimere, tanto meno a guidare.