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 2021  maggio 17 Lunedì calendario

Intervista a Paolo Maggi, l’infettivologo che non vuole lo stop a ReiThera

«Mi hanno telefonato dei volontari cui avevo somministrato ReiThera.
Chiedevano se c’era qualcosa che non andava con il vaccino. Li ho rassicurati che si trattava di una questione tecnica amministrativa, i cui dettagli sono oscuri anche a me». Paolo Maggi, infettivologo, ha guidato per il suo ospedale a Caserta la fase 2 della sperimentazione del vaccino italiano: quello che lo stop della Corte dei conti rischia ora di far fallire. In reparto ha accolto più di 50 volontari. «A tutti ho spiegato l’importanza di quel che facevano».
Con le sue parole ha convinto anche l’amico di gioventù Gianrico
Carofiglio, magistrato e scrittore.
«Abbiamo parlato del ruolo perduto della ricerca italiana e della chance che un’impresa come ReiThera poteva offrire al Paese. Lui è subito stato d’accordo: per questo obiettivo occorreva fare qualcosa di concreto.
Così è diventato volontario e ha ricevuto l’iniezione. Ma anche noi medici ce l’abbiamo messa tutta.
Come infettivologi siamo cresciuti con l’Hiv. Siamo amici e abituati alle battaglie difficili, in cui serve metterci il cuore. È quello che abbiamo fatto anche con ReiThera. È bastato un giro di telefonate e ci siamo ritrovati in molti, convinti che fosse importante partecipare al test».
Carofiglio su Repubblica si è detto contento del vaccino.
«Stiamo ancora raccogliendo i dati dei volontari, ma la sensazione è buona. Carofiglio come altri ha fatto un test sierologico per vedere se grazie al vaccino aveva sviluppato gli anticorpi. Tanti volontari come lui oggi si ritrovano con un livello alto, anche se i dati ufficiali usciranno tra fine maggio e inizio giugno».
Quando ReiThera sarà pronto, in autunno, la campagna vaccinale in Italia sarà però pressoché conclusa.
«Poi ci saranno i richiami, e molte altre malattie sono prevenibili con i vaccini. ReiThera non è un’impresa limitata a questo coronavirus. È un’occasione per rilanciare la ricerca italiana. Altri paesi, come la Germania, l’hanno capito fin dai primi mesi della pandemia, un anno fa. Noi no. Eppure il nostro Paese negli anni ’60 era un’eccellenza mondiale. Poi le multinazionali hanno comprato le nostre imprese, solo per chiudere i laboratori di ricerca quando li hanno ritenuti superflui. Una grande tradizione è stata smantellata nel giro di pochi anni. ReiThera, ma anche il secondo vaccino italiano di Takis, sono utili non solo a combattere questo virus, ma anche a risollevare un settore scientifico in cui abbiamo le carte in regola per tornare a primeggiare».
Non è tardi? Ci siamo mossi con lentezza. L’epidemia sembra in fase di riflusso. A questo punto non si rischia di sprecare soldi?
«Non è troppo tardi, abbiamo bisogno di un vaccino italiano perché siamo sotto lo schiaffo delle aziende straniere, soprattutto americane.
Perché se per qualche motivo ci venisse a mancare Pfizer ci troveremmo in difficoltà. Perché dovremo fare dei richiami. Perché esiste la plausibilità biologica di una nuova pandemia. E non da ultimo perché i due vaccini italiani, ReiThera e Takis, sono ottimi dal punto di vista scientifico».
La Germania ha finanziato i suoi vaccini un anno fa. Noi abbiamo fatto partire la pratica dei fondi a ReiThera a gennaio. Per due mesi è stata ferma alla Corte dei oonti.
Oggi è stata bocciata, ma per leggere le motivazioni dovremo aspettare fino a 30 giorni. Il nostro paese è inadatto a fare scienza?
«Mio padre faceva ricerca nel campo degli antibiotici. Per lui era normale ottenere brevetti. Oggi quel mondo sembra tramontato per sempre.
Eppure sono convinto che proprio questo sia il momento di risollevarci.
La Germania è un esempio: ha finanziato i suoi vaccini presto e bene. Oltre ad aver messo a punto quello di BionTech insieme a Pfizer, ha Curevac vicino all’approvazione, dopo averlo salvato da Trump che lo voleva comprare. Dopo il Covid, avremo bisogno delle stesse tecnologie per creare vaccini contro influenza, Hiv, cancro e tanto altro».
Cosa ha sbagliato la politica?
«Ho una formazione classica, ma penso che l’Italia resti troppo Crociana. I nostri politici forse credono che la ricerca scientifica sia un bel libro di cucina. Dovrebbero invece ricordare che siamo anche il Paese di Enrico Fermi».