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 2021  maggio 16 Domenica calendario

Viva la lingua di Omero

Se è vero che il greco antico ci impregna tutti dalla notte dei tempi, è anche vero che risulta lontano e misterioso, e perfino estraneo a chi non ne abbia qualche nozione scolastica, né bastano tutte le etimologie greche che evochiamo ogni giorno a rendercelo immediatamente familiare. Il latino, al contrario, appare assai più collegato alle nostre vite, come un parente ineludibile. Tanto per iniziare è scritto nel nostro stesso alfabeto; e poi, anche quando non lo capiamo, ci sembra di capirlo, perché il suo lessico è genitore del nostro, e anche se forme e significati non corrispondono più a quelli attuali, resta un’illusione di continuità e di appartenenza.
La storia del latino e del greco è una sola storia quando se ne seguano le traiettorie sulla mappa della cultura europea. Le divergenze, però, non mancano. Tra queste mettiamo non solo le particolari vicende dell’uno e dell’altro, ma anche il diverso modo in cui nei secoli si è pensato all’uno e all’altro. Il latino suggerisce durata e stabilità; il greco evanescenza e rovina. Sparito dalla mappa degli studi per secoli, è diventato la raffigurazione stessa della nostalgia. In età moderna, dopo i trionfalistici recuperi del Rinascimento, la conoscenza del greco si è fissata sempre più in mito, significando lotta contro le forze della disgregazione, contrapposizione al declino, recupero del vigore, ritorno all’origine, “rimpatrio”, o perfino indagine dell’io. Hölderlin, Leopardi, Nietzsche, Freud docent, per nominare alcuni insigni.
Non si tratta solo di lingua: si tratta di pensiero, di immaginazione, di vita. Il greco è personaggi umani e divini, politica, miti, luoghi, valori morali, concezioni estetiche, emozioni, sentimenti. E poi si porta tutta l’ambiguità delle cose antiche, i cui messaggi si offrono e si sottraggono a un tempo, e ci costringono ad apprendere altri codici, altre categorie, altre intenzioni. Ci sono le difficoltà dell’espressione, la ricercatezza del dire, la straripante abbondanza lessicale, che le nostre moderne traduzioni non renderanno mai perfettamente. C’è anche uno speciale senso di responsabilità, che investe lo studio di una sorta di commozione, perché si sa che, quando trattiamo con il greco, trattiamo con i nostri inizi, o almeno con un’immagine dei nostri inizi.
La storia del greco è assai più antica di quella del latino. I suoi primordi letterari, come indicano l’Iliade e l’Odissea, coincidono già con un altissimo grado di sviluppo culturale e linguistico. Non solo. I poemi omerici, per quanto arcaici e fissi in una certa formularità, godono di tale fortuna da risultare sempre contemporanei a tutta la letteratura successiva, costituendo la base di una comune educazione e di una memoria nazionale. Non c’è scrittore di rilievo che con quei testi non si sia dovuto confrontare. La stessa ricerca filosofica dovrà fare i conti con l’autorità di Omero. E si troveranno ancora prosecutori e imitatori di Omero molti secoli dopo la nascita di Cristo. Al latino è mancato un avvio così influente. Gli è toccato, anzi, il destino contrario di negare con crescente convinzione la propria antichità, finché non si sia perfezionato e canonizzato nella scrittura di due campioni come Cicerone e Virgilio.
L’anima del greco è comparativa. Guarda all’altro (si comincia con i troiani) e lo definisce attraverso antitesi, simmetrie, parallelismi, comparazioni. Ricerca e rappresenta il dibattito, la lite, la gara – giudiziaria, sportiva, militare, oratoria – e parimenti persegue l’amicizia e lo scambio generoso. A questa tendenza al confronto contribuiscono indubbiamente le condizioni geo-politiche della nazione. I greci si considerano un solo popolo, ma si sentono e sono divisi. Quando parliamo di loro, non intendiamo uno Stato unitario, ma evochiamo un insieme di città, varie centinaia, che si governano ciascuna in modo indipendente. Hai monarchie, oligarchie, tirannie, democrazie, e queste tentano continuamente di venire a patti le une con le altre attraverso la diplomazia e attraverso la guerra, amministrando alleanze, tregue, influenze reciproche, anche di fronte alla costante minaccia di ingerenze straniere, come quella persiana, prima, e quella macedone, poi. 
I greci hanno saputo trasformare la divisione in occasioni critiche, che sono certamente il loro lascito più vitale e più positivo. Impariamo da loro: a parlare confrontando, a riconoscere le differenze e le somiglianze, lo specifico e il generale, e a riportare le sfumature nell’incolore della comunicazione mediatica e il senso di un altrove nel deserto della cosiddetta globalizzazione. Abbiamo bisogno di ridare ai nostri linguaggi visione e consapevolezza; di ridare peso civile o, per dirla con un vocabolo d’origine greca, politico a quello che pensiamo e diciamo. I discorsi, anche i più privati, si svuotano e perdono significato quando smettono di misurarsi con un’idea di mondo. 
La storia del greco, fin da Omero, è caratterizzata da un vero e proprio culto della parola, di cui sono testimonianza le più varie forme letterarie. Con la parola si cercano la verità e il senso delle cose, e la verità e il senso delle cose possono coincidere con l’esercizio stesso della parola. E tale ricerca procede con la coscienza che la verità sfugga o si travesta o non si lasci afferrare, e che la lingua umana sia sempre esposta al rischio di diffondere rappresentazioni fallaci e, dunque, debba sempre vigilare sui propri meccanismi per il bene comune.