Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  maggio 16 Domenica calendario

Gli italiani e la fede. Intervista a Franco Garelli

Credonopiùnel diavolo,ma dell’aldilà non hanno un’immagine precisa. E in molti invocanouna superreligione che unisca in un’unica fede cattolicesimo, cristianesimo ortodosso, islam, ebraismo,buddismo e tutte le confessioni esistenti al mondo. Gli italiani e il sentimento religioso: com’ècambiatosottolapandemia ilnostro bisognodi Dio?«È come un alberoscrollato dauna mano invisibile. Le foglie secche cadono.
E dalla corteccia si stacca anche il muschio in superficie. La stessa cosa è successa all’albero della fede con il Covid: la linfa dei cattolici convinti è cresciuta nella preghiera, ma chi vive ai margini del sentimento religioso tende a perdersiper strada».
Da moltianni il professor Franco Garelli indaga la religiosità degli italiani e la stanchezza crescente di un cattolicesimo che oggi vive la sua "stagione autunnale". È stato ordinario di Sociologia delle Religioni all’Università di Torino ed è autore per ilMulino di innumerevolisaggiche sondano le trasformazioni del nostro Paese attraverso il cannocchiale delle credenze religiose (l’ultimo, Gente dipoca fede , è uscito nei giorni della peste). Si dichiara un «cattolico con tutti i dubbi della coscienza moderna».Enellungo lockdownè stato promotore di varie mappaturesucomeil virusabbia influito sul nostro rapporto con Dio.
Professor Garelli, durante la pandemia sono prevalsi più i segni di fede o di indifferenza religiosa?
«Direisenz’altro i primi, ma questa crescita della domanda spirituale è rimasta circoscritta entro la cerchia dei cattolici convinti, circa un venti per centodella popolazione, coinvolgendomeno i "cattolici culturali", chi si professa cristiano più per tradizione famigliare che per una fedeattivamente vissuta.
Nessuncambio diprospettiva è avvenutotra chi sidichiara non credente».
Ma un evento estremo come la pandemia non dovrebbe interpellare più profondamente la coscienza individuale?
«Questoin parte è accaduto, conla crescita del senso di mistero evocatodallapeste. E non è un caso chenella zona del cattolicesimo culturale più tiepido siano tornati alla ribalta i simboli più tradizionali della cultura cristiana: penso all’attenzione riposta sui gesti di papaFrancesco o al rinnovo dei voti ai Santi Patroni. Esiste un repertorio del sacro cattolico che torna in scenanei momenti eccezionali, per poi nascondersi dietro le quinte nell’ordinarietà. Ma i cattolici meno impegnatilo vivono piùda spettatori che da protagonisti».
Lei insiste molto sulla nozione di "cattolici culturali".
«È uno dei dati più rilevanti di questi ultimi anni. È cresciuta molto la fascia di chi interpreta il cattolicesimopiù come intenzione chevissuto: è un’opzione culturale più che un’esperienza di vita. Questi cattolicipraticano poco o in modo discontinuo, ma nonsi discostano dalla casa madre. E vi fanno ricorso nei momenti decisivi dell’esistenza.
Abbiamoapplicatoalmondo cattolico strumenti di lettura finora estesi all’ebraismo nella distinzione tra osservanti ed ebrei di famiglia: lo stesso accade nelcattolicesimo».
Lei però parla di un cattolicesimo vissuto in una chiave identitaria ed etnica che rimanda alla croce esibita da Salvini contro i migranti.
«Una parte dei cattolici culturali sonosensibili a questo richiamo. In un contestoreligioso sempre più plurale, dove soprattutto l’islam vienevissuto come una minaccia, c’è chi reagisce inalberando la sua identità cristiana. Ed è qui che attecchisce la predicazione delle forze sovraniste».
Un altro dato che colpisce è la crescita dei non credenti: in vent’anni sono raddoppiati, oggi il 18 per cento degli italiani si dichiara estraneo a ogni appartenenza confessionale.
«Sì, il nostro cattolicesimo sta vivendola sua faseautunnale, ma purtra affanni e traversie mantiene il suo peso nella penisola. Sarebbe sbagliato parlare di un’uscita dell’Italia dalla sua cultura cattolica. Basterebbe raffrontare i nostri numeri ai livelli di incredulità raggiunti negli altri paesi europei, vuoi di cultura cattolica che protestante: l’ateismo dichiarato raggiunge quasila metà della popolazione».
Il problema è che i "senza Dio" sono diffusi soprattutto tra i più giovani. Questo ci induce al pessimismo sulle sorti del cristianesimo in Italia?
«Iragazziappartengonoauna generazione postideologica che nonhachiusocompletamentecon il discorso religioso. Ma per impegnarsiinmodoattivo hanno bisogno di esperienze significative, altrimenti entrano in una situazionedi stand byoppure cercano altrove le fonti di significato. Nonviviamo più in un mondosegnatodaldestinoma dalle scelte. E l’individuo sceglie di vivere a pieni polmoni, sottraendosi aogni dottrina che possa gettare un’ombra grigia alla sua vita».
Anche tra chi crede prevale una fede incerta, lei parla di «un Dio più sperato che creduto».
«Questoèun altrocambiamento importante.Lanostranon èpiùuna fedecongelata nel freezer, ma modulatasulle dinamiche della vita.Forsemeno robusta,ma sicuramentepiùumana.Enonèun caso che a vivere questa religiosità più incerta siano soprattutto i giovanie le persone tra i cinquanta e i sessant’anni: è quella l’età più colpita dalle traversie personali, si può perdere il lavoro o subire rotture famigliari. Può succedere allorache ci si prenda un sabbatico dalla fede».
Gli italiani tendono a confessarsi sempre di meno.
Perché hanno perduto il senso del peccato o perché tendono a saltare le mediazioni?
«No,il senso delpeccatopermane in modo molto forte. Il calo delle confessionitocca un punto controverso che è il nostro rapporto conla mediazione della Chiesa. Molti sono convinti chesi possaessere "cattolici doc" senza seguire i precetti della Chiesa: la crescita di consensi all’eutanasia e ai diritti degli omosessuali ne è pienaconferma. Ma più o meno la stessa quota di popolazione sostiene che la Chiesa deve tenere fermi i propri principi. Il nostro è un imprinting religioso così forte che facciamo fatica a viverlo nella quotidianità, ma non riusciamo a liberarcene».
Qual è il nostro rapporto con l’aldilà?
«Nebuloso.In realtànon sappiamo bene cosasia. Qui chiamo in causa la teologia che non riesce a elaboraredelle immagini congruenti con la sensibilità contemporanea.Siamo fermi alle fiammedell’inferno e ai godimenti celesti del paradiso».
Però tendiamo a credere più nel paradiso.
«C’èsemprestata più considerazioneper il premio che per il castigo. Ma durante la pandemia è tornato alla ribalta il diavolo, nell’accresciuta convinzione che agiscanoforze del malecon cuidobbiamofare iconti.
Nonèun fenomeno legatosoloalla pestecontemporanea».
Oggi viviamo in un contesto di pluralismo religioso, dove l’8 per cento di italiani crede in altre fedi: islam, cristianesimo ortodosso, ebraismo, buddismo, induismo.
Che conseguenza porta la convivenza con altre dottrine?
«Si riduce la convinzione di essere in possesso della verità. La maggioranza degli italiani riconosce di vivere in un mondo in cui esistono più verità o, meglio, più sfaccettature della verità. Non c’è più un’unica religione depositaria di una conoscenza superiore».
E non è un caso che cresca il bisogno di una religione universale che tenga unite le diverse fedi sul piano dei valori e delle credenze comuni. Una "super religione" l’ha definita Marco Ventura nel suo libro appena uscito dal Mulino.
«Sì, quasi metà degli italiani invoca una religione ecumenica, globale e standardizzata, che però ha poche possibilità di attecchire.
Ioleggoilfenomeno come desiderio di pacificazione religiosa, inunmondo segnatodalle guerre fattein nomedi Dioe dal terrorismo.Maèun campanello d’allarmeche deve essere ancora decifrato».
Perché definisce la "super religione" un campanello d’allarme?
«Mi sembra un’aspirazione astratta più che una risorsa vitale. Inoltre implica un tagliare i ponti con le religioni storicamente date. Ma, pur bizzarra, la nuova istanza va considerata per la sensibilità che rivela: il desiderio di religioni più cooperanti, che diano il meglio di sé nella costruzione piuttosto che nel mostrare i muscoli».