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 2021  maggio 16 Domenica calendario

Cristina Morales, la scrittrice spagnola del momento

È la prima volta che viene tradotta in Italia ma nel suo Paese Cristina Morales, 36 anni, scrittrice e ballerina spagnola è il talento ribelle che fa tremare l’establishment letterario.
Anarchica, femminista, trasgressiva, la nuova stella delle edizioni Anagrama ha vinto col romanzo Lettura facile , ora pubblicato da Guanda, il Premio Nacional de Narrativa assegnato dal ministero della Cultura. La incontriamo a Roma all’Accademia di Spagna, dove è ospite per una residenza d’artista. Si muove a suo agio tra gli stanzoni e i portici dell’ex convento di San Pietro in Montorio. Deve divertirla parecchio la nuova situazione, l’inattesa consacrazione con lodi e denaro pubblico che l’ha catapultata dalle case occupate (anzi okkupate) agli onori di Stato, grazie a un romanzo teppista, a tratti anche comico, dove quattro donne bollate come "disabili mentali" danzano, insultano, fanno sesso e si raccontano su WhatsApp fregandosene della morale comune e dei tentativi di curarle e normalizzarle.
Qualche polemica in realtà si è levata quando la ragazzaccia fieramente anarchica ha intascato i 20 mila euro del premio nazionale (oltre ai 18 mila del premio Herralde ) ma lei non se ne cura, «quei soldi li voglio e li festeggio», e senza reverenze continua ad essere politicamente scorretta e spara contro le quote rosa, lo stato liberale, la letteratura istituzionale di Fernando Aramburu e Almudena Grandes. Intanto ha ripreso a lavorare con la sua compagnia di danza Iniciativa Sexual Femenina e per il resto continua con la vita radicale di sempre: niente tv, niente social, pochissime interviste. È notizia fresca che la rivista Granta l’ha inserita tra le migliori nuove voci della narrativa spagnola.
Da dove viene la frase in copertina, "né Dio né padrone né marito né partita di pallone"?
«È un graffito popolare in Spagna, si legge sui muri in molte strade. Lo incrociavo spesso quando ero adolescente e poi negli anni dell’università».
Era già uno spirito anarchico?
«Sempre stata, ma mi sono laureata in diritto internazionale alla facoltà di Scienze politiche».
Scelta curiosa.
«Contemporaneamente iniziavo i miei studi anarchici. Quel graffito anonimo centra perfettamente il punto. Non può esserci femminismo senza anarchismo. L’anarchico lotta per l’emancipazione da tutte le oppressioni e dunque anche dall’eteropatriarcato».
Le piace la definizione anarco-femminista?
«Non mi piace definirmi, nessuno di noi è dato definitivamente. A volte sono stata io stessa prevaricatrice, naturalmente non è una cosa di cui vado fiera. Alle femministe si chiede invece una coerenza assoluta, impossibile, mentre io mi sento a mio agio nel conflitto».
Allora si alza e legge ad alta voce uno stralcio dal libro A despatriarcar! Feminismo urgente .
della filosofa anarco-femminista boliviana Maria Galindo «Sono donna, / Sono lesbica, / Sono india, / Sono madre, / Sono pazza, / Sono puttana, / Sono vecchia, / Sono giovane, / Sono disabile, / Sono bianca, / Sono nera, / Sono povera».
Ma a quanto pare non vorrebbe essere Madame Bovary. Nel romanzo la donna simbolo del desiderio di evasione è oggetto di qualche strale, perché?
«Madame Bovary sogna la libertà ma Flaubert alla fine la castiga facendola suicidare. Il concetto di piacere è legato alla colpa e alla morte, non si accettano il conflitto e le contraddizioni. Nel mio romanzo invece ho voluto dare voce ai dissidi, facendo saltare la nozione di "disabilità intellettuale", una terminologia impropria usata dal potere. Le quattro protagoniste non sono disabili, semmai sono prigioniere».
Di chi?
«Le donne di cui parlo vivono sotto la tutela statale. Si cerca di normalizzarle, per una di loro la Generalitat della Catalogna richiede al giudice l’autorizzazione per la sterilizzazione forzata. In Spagna fino a qualche mese fa era una pratica comune per i disabili mentali e riguardava al 90% le donne. Ora finalmente è stata approvata una legge che la abolisce».
La danza e il sesso nel libro sono momenti di liberazione, che rappresentano per lei?
«Ho cercato di raccontare il sesso in modo chiaro, meccanico. Mentre scrivevo ricreavo i gesti, mi toccavo per essere certa che fossero il più possibile realistici. A volte le scene che descrivevo mi eccitavano, a volte no. Se si afferrava un seno, andavo allo specchio e lo facevo. Se volevo descrivere il morso di un orecchio, mordevo qualcuno per provare. Alla fine è un mix tra ciò che ho vissuto e ciò che vorrei vivere. In realtà sia il sesso che la danza possono essere momenti di libertà ma anche di oppressione. Bisogna fare molta strada per riuscire a viverli liberamente».
Lei ci è riuscita?
«Le confesso che in questo momento la danza riesce a darmi qualcosa che la scrittura non mi dà più. Sento che nel ballo ci si può ancora perdere, come quando si è ubriachi».
È vero che considera Fernando Aramburu un conservatore?
«( Ride ) È evidente, uno che scrive Patria che altro può essere?».
E Almudena Grandes, perché ha polemizzato anche con lei?
«È una femminista istituzionale. Il suo femminismo non disturba i parlamenti, i congressi, la società. È il femminismo dell’uguaglianza e delle quote».
Che cosa c’è di male, le quote non sono una garanzia? Almeno fino quando potremo finalmente farne a meno.
«Le quote sono un concetto elitista, rappresentano una tattica di prosecuzione di privilegi. È un’immagine che funziona esteticamente ma che rimane dentro un sistema machista. Per emanciparsi bisognerebbe evitare un patriarcato con la gonna».
In che modo?
«Creando una propria lingua, trasformando le proprie difficoltà in una nuova forza».
Qual è il suo rapporto con il denaro? Per Virginia Woolf era un mezzo per emanciparsi, è ancora così?
«Penso che sia giusto volere i soldi e pure spenderli. Virginia Woolf amava la bella vita e vestire bene, mi chiedo però perché ci poniamo domande sulla sua ricchezza e non facciamo lo stesso con Henry Miller».
Nel 2012 Javier Marías non ha accettato il premio. Da anarchica insofferente verso le istituzioni, ha pensato alla possibilità di rifiutare i 20 mila euro governativi?
«Non avevo un soldo, perché dire no? Avevo voglia di prenderli e godermi il successo, festeggiarlo. Il premio dato a una come me dimostra che è possibile infilarsi nelle crepe, che in fondo il potere non è mai così potente».